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lunedì 30 gennaio 2017

Non si finisce mai di imparare

Adoro essere un'insegnante. Ho deciso di fare l'insegnante di inglese quando avevo soltanto dieci anni. E non ho mai avuto il minimo ripensamento. E a tutt'oggi, quando entro in classe, mi sembra di entrare in un regno magico. Spesso quando spiego o mentre interrogo, guardo fuori dalla finestra e, che piova, nevichi o ci sia il sole, mi sembra che là fuori vi sia un mondo fermo nel tempo e nello spazio che circonda, senza intaccarla, la dimensione fatata di cui faccio parte ogni mattina. Sto bene coi miei alunni, con tutti loro, e sono sicura che lo sentono; e ci metto passione in ciò che faccio, anche quando ho sonno o quando sono malaticcia, perché ogni mattina tocco con mano la fortuna che ho avuto: aver realizzato il mio sogno e (esclusi i miei figli) non c'è niente al mondo che potrebbe rendermi più felice. 
Ma non credo affatto di essere un'insegnante perfetta, anzi, al contrario, spesso mi sento un disastro, totalmente inadeguata a svolgere il ruolo che rivesto. Ma credetemi, ce la metto tutta per migliorare. E sono conscia del fatto che ho ancora moltissimo da imparare. 
In classe mantengo sempre un clima allegro; è il mio modo per attirare l'attenzione degli alunni senza annoiarli. Ritengo che ridendo e scherzando si lavori meglio, perché inframezziamo battute spiritose a momenti in cui lavoriamo alacremente. Risultato: gli studenti si stancano meno, e nei momenti in cui è maggiormente richiesta la loro attenzione si concentrano di più, e imparano esattamente ciò che devono, quindi mi sembra che finora il mio metodo abbia in linea di massima funzionato.
Per creare questo clima allegro però, mi permetto di schernire gli alunni bonariamente, senza mai diventare offensiva, e lascio che loro facciano altrettanto con me. Nonostante questo nostro modo di scherzare, il rispetto non viene mai meno da nessuna delle due parti. Ad esempio i ragazzi mi prendono spesso in giro per le tisane drenanti che bevo o perché mi ritengono vecchia e dicono che dimostro molti più anni di quelli che ho. Ogni volta io rido e puntualizzo che sono bellissima e giovanissima. Per contro faccio molte battute "anti-uomo": fingo di dipingermi come una zitellaccia arrabbiata con il genere maschile, quando invece non è assolutamente così. E di norma sono vittime dei miei scherzi le persone che ritengo difficilmente "intaccabili", quelle che mi sembra quasi impossibile deridere, perché dal mio punto di vista non hanno alcun difetto; e scelgo loro come bersagli proprio in quanto non
 vorrei, per un semplice gioco, creare invece dei complessi a persone di per sé già fragili ed insicure.
Tre o quattro anni fa avevo fatto una delle mie tante battute ad un paio di mie alunne che stimavo e stimo tutt'ora immensamente, perché, oltre ad essere entrambe bellissime e molto curate, erano e sono incredibilmente intelligenti (una delle due è a mio avviso quasi geniale), parlavano in inglese con un accento impeccabile già in terza superiore, sebbene all'epoca non fossero mai state all'estero (e questo per il solo fatto che guardavano parecchie serie TV britanniche in lingua originale), condividevano molte delle mie stesse passioni e quindi le ho sempre trovate anche decisamente simpatiche. Ero solita scherzare con loro, ma quel giorno avevo detto qualcosa che le aveva incupite entrambe. Si erano scambiate uno sguardo veloce e si erano messe a sottolineare sul libro ciò che stavamo leggendo. Fortunatamente nessuno in classe si era accorto del lieve imbarazzo che si era creato, ma noi tre sì. Finita la lezione le avevo aspettate senza farmi notare dagli altri, e le invitai a prendere un caffé alla macchinetta. A quel punto chiesi loro se per caso le avessi offese. Risposero di no. Ma mi spiegarono che di recente erano diventate il bersaglio preferito di alcune "bulle" della classe, proprio perché erano sempre così preparate in ogni materia: venivano definite "perfette a scuola, fallite nella vita", e negli ultimi tempi il mio scambio di battute con loro era stato visto dalle compagne inviperite, come un simpatizzare con le secchione antipatiche. Mi avevano raccontato il tutto con un'espressione terribilmente avvilita. Io mi scusai. Chiesi loro scusa mille volte per aver peccato di leggerezza nei loro confronti. E non mi capacitavo di come fosse possibile che due ragazze tanto belle, dolci e gentili fossero realmente oggetto di scherno da parte di qualcuno. Ma loro spalancarono gli occhioni ed esclamarono che non avevo motivo, che ero la loro prof preferita e che mi volevano un gran bene per il modo in cui mi rapportavo alla classe e per il mio piacevole metodo didattico. Con il mio comportamento le avevo esposte ad ulteriore scherno da parte delle compagne, ma loro, anziché ritenermi responsabile di ciò, si stavano preoccupando che io non mi sentissi in colpa e mi stavano gratificando e riempiendo  di complimenti per l'ennesima volta.
Faticai a trattenere le lacrime, e avrei voluto abbracciarle per dimostrare loro la mia riconoscenza. Ma eravamo a scuola, ed ero la loro insegnante, non si fa. Quindi mi trattenni. Chissà se mi giudicarono fredda. Ma non credo, perché mi sorrisero e le vidi andare a casa più sollevate. 
Da quel giorno continuai ad essere l'insegnante che sono: battute, gag, risate; ma iniziai a stare molto più attenta nello scegliere gli studenti con cui scherzare; perché spesso le persone ci appaiono più forti di quello che sono. E a maggior ragione l'adolescenza è un'età difficile, quindi quelle che a noi docenti possono sembrare persone di successo, sono invece malviste dai coetanei proprio perché invidiosi delle loro innumerevoli ottime qualità.
Quell'episodio mi aveva insegnato una lezione che non avrei più dimenticato: imparai ad analizzare i miei alunni ancora più profondamente di quanto già non facessi, e ad oggi se sono incerta se scherzare o no con uno studente, nel dubbio non ci scherzo, e magari faccio invece battute sull'autore o sull'argomento che stiamo affrontando, di modo che nessuno dei miei alunni venga intaccato dalla mia ironia.
Proprio ieri ho rivisto per caso quelle due ragazze: mi hanno raccontato che si stanno laureando in lingue, come me. Ma prima di congedarmi le ho ringaziate: perché nel corso della mia carriera ho imparato molto dai colleghi più anziani,
ma ho imparato altrettanto dai miei alunni, comprese loro. Con il loro solito modo educato e gentile, mi hanno sorriso contemporaneamente, e una delle due ha concluso: "no, prof, siamo noi che ringraziamo Lei per tutto ciò che ci ha insegnato, non per niente abbiamo scelto di fare l'università di lingue".
E ancora oggi mi sento orgogliosa e fortunata per aver avuto l'onore di essere stata l'insegnante di due persone talmente splendide.
Au revoir, mes amis! ;-)