Lo so, ogni volta che leggiamo un libro intraprendiamo un viaggio; un viaggio in terre ed epoche lontane, spesso ai confini dell’universo o in angoli remoti della psiche umana,
ma American Gods è un viaggio vero e proprio, più di qualsiasi altro libro che abbia mai letto, un viaggio nei luoghi più disparati d’America, in cittadine dimenticate dal resto del mondo, in metropoli come Chicago, un viaggio nel nord più a nord della Terra, in Irlanda, in Scozia, in piccoli appartamenti fumosi nel cuore degli USA abitati da famiglie slave, un viaggio in Florida, nell’antico Egitto, nei sogni o incubi notturni che ci fanno dubitare della realtà in quanto tale e della nostra sanità mentale, un viaggio nel tempo dal 14.000 a.C. ai giorni nostri, un viaggio fino agli Inferi e ritorno, che ci porta a conoscere dèi vecchi e nuovi, un viaggio dentro noi stessi che ci lascia necessariamente cambiati e che sembra non finire mai.
Ammetto che all’inizio e andando avanti con la storia, non ero convintissima: troppi pugni allo stomaco, personaggi principali (tipo Wednesday che assolda il protagonista come guardia del corpo) troppo squallidi e che non si fanno scrupoli ad usare le arti magiche per soddisfare i propri impulsi sessuali con ragazzine minorenni, troppo sesso esplicito. Non è il tipo di libro che leggo normalmente. Ma non ho desistito, complici lo stile scorrevole di Neil Gaiman, la sua profonda conoscenza di civiltà antiche e di divinità di ogni cultura e religione, che condivide con noi lettori praticamente ad ogni pagina, e, perché no, complice soprattutto la presenza di Shadow, il protagonista.
Shadow è un ex galeotto, che ha passato tre anni in carcere a causa di una rapina, fatta solo per accontentare la moglie di cui è innamoratissimo.
È grande e grosso, è bello e taciturno, il classico uomo che a prima vista non susciterebbe mai il mio interesse, eppure non ho potuto non affezionarmici. Shadow risulta da subito una persona pulita, colta, leale, con principi sani, contrario alle ingiustizie, buono, nonostante lo incontriamo per la prima volta proprio durante la sua permanenza in prigione. Ho immediatamente simpatizzato con lui, e alla fine del nostro viaggio insieme, mi sono ritrovata a considerarlo un buon amico.
Ciò che mi è piaciuto di questo libro è anche la grande quantità di colpi di scena che mi hanno lasciata con il fiato sospeso fino all’ultima pagina.
E dulcis in fundo, nei ringraziamenti finali Gaiman cita il mio amatissimo Terry Pratchett, oltre a ringraziare anche altre decine e decine di persone, cosa che ci fa capire quanto lavoro ed impegno ci siano dietro a un libro così imponente (si può dire di un libro? Non lo so, ma sicuramente rende l’idea), voluminoso e ben dettagliato.
Inoltre ho iniziato a guardare la prima stagione della serie TV prodotta dallo stesso Gaiman, che mi sembra davvero ben fatta e in cui trovo che gli attori che interpretano i personaggi siano davvero azzeccatissimi.
Vi lascio con una frase chiave di questo libro, che spero stuzzichi la vostra curiosità: “Nessun uomo può dirsi felice fino a quando non è morto”, - Erodoto.
Ora, soddisfatta al termine di questo lunghissimo viaggio di 760 pagine, e ringraziandovi nuovamente per avermi letta, vi saluto e ci rivediamo, spero, per la prossima recensione.
Au revoir, mea amis! ;-)
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