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domenica 31 marzo 2024

Lo squalificato di Dazai Osamu


Il dolore che si prova leggendo queste pagine è incommensurabile. Un disagio, una stretta al cuore, un pugno allo stomaco reiterato. Ho dovuto intervallarne la lettura con una serie di racconti decisamente più ameni, perché in certi momenti non riuscivo a sopportare tutto questo malessere e mi sentivo affaticata. È un romanzo brevissimo, ma denso di avvenimenti e di riflessioni che rattristano, perché anche a noi lettori sono spesso sorti pensieri di questo tipo, quali la sfiducia nel prossimo e nell’intera società. Fortunatamente nella mia vita non ho incontrato molte persone come Oba Yozo, io narrante di questa “autobiografia”, nonché evidente alter ego dello stesso Dazai. Ma non nascondo che mi sono successi episodi imbarazzanti simili a quelli del protagonista, che mi hanno segnata a vita, e che io stessa mi sono ritrovata, fin da ragazzina, nella condizione di trasformarmi in buffone, o come mi è sempre piaciuto pensare, in giullare di corte, per nascondere la mia timidezza e la mia asocialità, di cui tanto mi vergognavo. Ed è proprio la vergogna il leitmotiv che porta Yozo a diventare “un essere umano squalificato. In effetti, ormai non ero neanche più un essere umano”. Questo annichilimento cominciato fin dalla più tenera infanzia, lo porterà in un mondo torbido, un mondo fatto, a suo stesso dire, di alcol, fumo, prostitute, banco dei pegni e idee di estrema sinistra: “un miscuglio ben strano, ma questi sono i fatti”. Un uomo spaventato sì dalla società, ma anche dalla felicità. Un uomo che distrugge, o meglio, sporca tutto ciò che tocca. Un uomo che affascina, quasi perseguitato da stuoli di donne, pur non facendo nulla per conquistarle, e anzi, quasi evitandole. Un uomo incapace di dire “no”, ai famigliari, agli amici, alle amanti (che lo diventano persino quando non le vuole): ed in questa incapacità a dire “no” mi ci sono riconosciuta davvero tanto. 
La lampante conclusione a cui alla fine giunge Yozo è che tutto passa, “banalmente, tutto passa”. 
Non possiamo che dargli ragione.
E fin da subito ho odiato il padre di questo ragazzino incompreso, per cui sarebbe bastato un minimo di interesse e di affetto in più, e sarebbe cresciuto diversamente, senza aborrire il lusso da cui proveniva, per poi vergognarsi e sentirsi in colpa per aver disprezzato la fortuna che aveva. Ma mi hanno infine consolata le parole di madame, che sembra avermi letta nel pensiero (o forse è il contrario): “la colpa è tutta di suo padre, […] Lo Yozo che noi tutti conoscevamo era sincero e sensibile, se solo non beveva… Anzi, anche quando beveva era buono come un angelo”.
Ora, appena finito di leggere, ho il cuore a pezzi, eppure sto già pensando di leggere molte altre storie di questo maestro della letteratura giapponese. Perché sì, lui si rifugiava nell’abuso di alcol e sostanze, io preferisco nascondere la faccia nei libri, sorseggiando una tisana o un ginseng. E voi, se anche voi fate parte della immensa schiera di persone terrorizzate dal mondo, che metodo utilizzate per sfuggirgli? Scrivetemi in privato o qui sotto nei commenti :-D
Au revoir, mes amis! ;-) 










martedì 26 marzo 2024

Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro



Mi piacciono i romanzi scritti in prima persona. Ci si identifica facilmente con i pensieri del protagonista che spesso, chissà perché, sono anche i nostri. È stato semplice capire alla perfezione i sentimenti di Kath, personaggio principale di Non lasciarmi. Credo che chiunque potrebbe immedesimarsi nei suoi detti e non detti, nel suo sentirsi mortalmente ferita da banalissime frasi pronunciate nel modo sbagliato, e che, a ripensarci più tardi, a freddo, ci si accorge che non erano poi così offensive. La bravura di Ishiguro nel dipingere caratteri così profondamente umani è notevole. Aveva ragione la mia collega ed amica a consigliarmi di leggere i suoi romanzi, per la delicatezza con cui tratta argomenti per niente facili, come la sofferenza che aleggia soprattutto in alcuni reparti ospedalieri, o il sesso, che potrebbe risultare imbarazzante sia vissuto da ragazzini e sia, perché no, molte volte anche da adulti. Eppure, nonostante la mia eccessiva empatia verso ciò che vedo nei film, leggo nei libri e persino quando ascolto le notizie del telegiornale, sono riuscita a non piangere (a parte, ebbene sì, lo ammetto, un unico frangente in tutto il libro) e, a discapito della mia educazione da ragazza per bene degli anni Ottanta, non sono rimasta minimamente infastidita dalle volte in cui si parla apertamente di sesso e di come lo affrontino gli studenti di questo misterioso istituto. E tutto questo è merito, come vi dicevo, della delicatezza dell’autore.
Fin dalla prima pagina c’è però qualcosa che non torna: Kath è un’assistente che si prende cura di “donatori”, che non sembrano essere in gran forma. Chi sono questi donatori? E perché lei se ne occupa prendendosi così a cuore le loro situazioni? Ishiguro ci tiene col fiato sospeso ad ogni pagina. Si vuole andare avanti per saperne sempre di più, per capire cosa sta succedendo. Sembra tutto così strano… 
Kath ci parla di sé, della sua vita, delle sue esperienze, dividendo la storia in tre parti: la sua spensierata infanzia nella scuola di Hailsham; la sua adolescenza con i normali turbamenti dell’età, turbamenti non solo sessuali o amorosi, ma vissuti nei più svariati ambiti; la vita da adulta, con il suo lavoro e la sua solitudine interiore.
Tutti noi abbiamo provato almeno una volta ciò che ha sofferto Kath: ad esempio il vedersi sminuiti dall’amico/a che ci ritorce contro le confidenze che gli/le abbiamo fatto solo per autoincensarsi e sentirsi migliore di noi, e che ci fa sentire sbagliati solo perché talvolta siamo preda delle nostre emozioni o perché proviamo pulsioni più che naturali per un essere umano. Fortunatamente però, anche nelle nostre vite reali, così come in questo romanzo, capita poi d’incontrare anche chi ci spiega che invece è tutto normale (“Immagino che succeda a tutti, e dovrebbero ammetterlo con se stessi, se fossero onesti. Non penso che ci sia niente di diverso in te…”). Grazie Ishiguro, che attraverso Kath ci insegni che non abbiamo nulla di cui vergognarci, anche se ci assalgono piccoli pensieri di vendetta, che tanto non attueremmo mai. 
È ammirevole la resilienza, almeno per gran parte del racconto, di due personaggi principali che non lottano contro il destino, ma lo accettano abbastanza serenamente. Ma proprio in virtù del fatto che questo autore sa rappresentare così bene le sfumature dell’animo umano, non mancheranno i momenti di rammarico per ciò che non si è fatto o si è fatto troppo tardi. E chi di noi non li ha mai avuti? Fortunatamente non mi appartengono molto, mi capitano ovviamente, ma so tirarmene fuori in fretta, e mi piacerebbe dire a questi studenti una frase di Blade Runner che tanto mi è cara (lo so, non perdo occasione di citarlo :-):
“ I didn’t know how long we had together… who does?” (Non sapevo quanto tempo ci restasse da passare insieme…ma del resto chi lo sa?)
Se avete visto Blade Runner o se leggerete Non lasciarmi, immagino capirete.
A proposito di film! Sono curiosissima di vedere il film con Carey Mulligan, Keira Knightley e Andrew Garfield che hanno tratto da questo meraviglioso libro.
E con questa chicca nonché indiscutibile perla di saggezza tratta da Blade Runner, vi saluto e vi do appuntamento alla prossima recensione :-)
Au revoir, mes amis! ;-)





giovedì 14 marzo 2024

Cronache marziane di Ray Bradbury

Se penso a Cronache marziane, penso ad una lunga poesia che mi ha incantata fin dalle primissime righe: episodi sparsi, tenuti insieme da un unico filo conduttore, ovvero il mito di Marte, scritti con un linguaggio estremamente aulico, ricco di immagini suggestive, che spesso quasi commuovono. Marte è il pianeta rosso per eccellenza, ma in questi racconti si fa riferimento a vari colori, tra cui il bruno, il dorato, l’azzurro agata. Ed è per questo che guardando questa foto che ho scattato dalla finestra di casa mia, sogno il pianeta immaginato da Bradbury, che sicuramente non corrisponde alla realtà.


Non sarà facile scrivere questa recensione, ci sono così tante cose de dire che mi servirebbe lo spazio di un saggio accademico, e soprattutto vi toglierei il gusto della sorpresa che mi ha colto ad ogni pagina. 
Ho letto questo libro nella nuova edizione Mondadori del 2020, tradotta meravigliosamente da Veronica Raimo, con una puntualissima postfazione di Tristan Garcia, che in una manciata di pagine riesce a racchiudere l’essenza di questo viaggio interplanetario. Ma soprattutto in questa edizione è presente un’introduzione di Bradbury stesso che, pur non volendolo ostentare, non può far altro che mostrare il fascino e la simpatia che sicuramente caratterizzavano la sua persona. E così ci racconta che un grande scrittore visionario come Aldous Huxley lo aveva definito “poeta” ed aveva pienamente ragione, perché in queste Cronache marziane si respira poesia a pieni polmoni, e ad ogni pagina mi sentivo sempre più innamorata: di Marte, della civiltà marziana, dell’atmosfera magica del pianeta, di Ylla (il mio cuore si è spezzato insieme al suo e non ho nemmeno avuto la forza di piangere, ma solo voglia di rannicchiarmi con lo sguardo fisso nel vuoto), mi sono innamorata dell’idea del capitano Nathaniel York, dell’integrità e dell’intensa spiritualità di Spender (che tanto mi ha fatto soffrire), della genialità crudele di Stendahl che mi ha lasciata sgomenta e piena di orrore.
Bradbury era uomo di immensa cultura e in quest’opera cita persino dei famosissimi versi di una poesia di Ben Jonson (non lo si dice nelle note, quindi se non li riconoscete nel testo, chiedete a me ;-), fa più volte riferimento a Lord Byron, e a maestri quali Edgar Allan Poe, Lewis Carrol e Lovecraft. E se Ray Bradbury resta Ray Bradbury, non poteva mancare un episodio in cui si paventa, e ovviamente si condanna, una futura ed ipotetica censura (o peggio ancora distruzione) dei libri, soprattutto di quelli con soggetti fantasiosi, assolutamente distanti dalla realtà.
Questo libro mi ha riempito il cuore. Mi ha commossa, mi ha fatto riflettere, mi ha emozionata e spaventata.
Ma attenzione: non è un libro di fantascienza. È lo stesso Bradbury a precisarlo nell’introduzione. Cronache marziane parla di mito puro, di quei miti che ci facevano rimanere a bocca aperta e sognare per ore ed ore quando eravamo bambini.
Anche se l’autore non lo considerava un libro di fantascienza, una domanda mi sorge spontanea: Philip K. Dick l’aveva letto prima di scrivere il suo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Secondo me la risposta è sì…
Il mio consiglio? Lo sapete già: LEGGETELO e abbandonatevi totalmente a fantasticare sulla culla o sul futuro, o su entrambi, chissà, dell’umanità.
Au revoir, mes amis! ;-)