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lunedì 22 aprile 2024

Le strane storie di Fukiage

A volte ci capita di leggere dei libri quasi per caso, come è successo a me con Le strane storie di Fukiage di Banana Yoshimoto. L’ho preso perché c’era una promozione della Universale Economica Feltrinelli, due libri a soli 9,90 €, e siccome non c’era nient’altro che non avessi già, ho optato per la Yoshimoto che, mi sono detta, quanto meno è giapponese. I suoi libri non mi avevano mai attirata perché avevo il pregiudizio che fossero melensi. Ed in effetti bisogna sempre ascoltare l’intuito. 
La trama di questo romanzo è di per sé accattivante, infatti parla di alieni nel senso originario del termine, ovvero di “altro da noi”, abitanti di altri pianeti o altre dimensioni.
Il problema, a mio avviso, è che l’autrice ci mette davvero troppo ad arrivare al punto cruciale della storia: a pochissime pagine dalla fine ancora non avevo ben chiare un’infinità di situazioni, e soprattutto non capivo di che tipo di alieni e di che “altri” luoghi si trattasse. 
Il tutto inizia con la protagonista, Mimi,

che consulta due sorelle indovine per ritrovare la propria gemella scomparsa, Kodachi. L’indovina con cui dialoga le riversa addosso una quantità enorme di informazioni che fatico a ricordare nel momento stesso in cui le leggo; infatti, quando alcune premonizioni sembrano avverarsi, non riesco ad esultare perché nemmeno me ne accorgo, se non per il fatto che è la protagonista stessa ad accorgersene e a farcelo notare (cosa che mi ha fatta tornare indietro di alcune pagine per rivedere dove fossero state presagite). Ho trovato questa parte iniziale decisamente lunga (più di trenta pagine di premonizioni non sempre comprensibili), a tratti noiosa e piuttosto stucchevole. E da lì in poi sarà tutto un susseguirsi di frasi sdolcinate sui legami familiari, sulla bellezza della vita, sulla meraviglia della natura, dei colori del tramonto e quant’altro. Anche a me piacciono le frasi che ci fanno riflettere, ma le noto di più quando arrivano al momento giusto, anziché quando sono disseminate in ogni pagina del libro in questione. Inoltre, leggendolo, si continua ad avere la sensazione che non accada mai nulla di concreto. Insomma, si butta tanta carne al fuoco senza arrivare al dunque; e questo me lo aspetterei da un romanzo in stile stream of consciousness, tipo quelli di James Joyce o di Virginia Woolf, e non certo da una storia che si propone come un misto tra un giallo, un fantasy e un libro di fantascienza. 
Personaggi che mi hanno colpito? Nessuno. Sono tutte persone positive e sicuramente buone, eppure tutti mi hanno lasciata perplessa, come se non mi venisse voglia di conoscere nessuno di loro. Forse, opinione personalissima, la più carina e simpatica è proprio Kodachi, la ragazza scomparsa, che mi ricorda un piccolo folletto dei boschi.
Devo però ammettere che arrivata ad un certo punto, ho notevolmente aumentato il mio ritmo di lettura perché ero curiosa di sapere come si sarebbe risolto il tutto. D’altro canto lo stile di Banana Yoshimoto è piuttosto grazioso e assolutamente non pesante o ricercato, quindi non ci si stanca sicuramente di leggere anche molte pagine di fila. E vi confesso che adesso, nonostante i punti per me deboli che vi ho appena elencato, sono piuttosto curiosa di sapere cosa succederà nel suo seguito intitolato Ciotole di Riso, che quindi mi toccherà comprare e leggere quanto prima.
E poi mi è successa una cosa particolare che mi riguarda personalmente e che me l’ha fatto amare un po’ di più. Ho l’abitudine di leggere almeno due o tre libri contemporaneamente, e tre giorni fa ne avevo in borsa due: questo della Yoshimoto appunto, ed un altro di Yukio Mishima, intitolato Stella Meravigliosa. Inizio il libro di Mishima proprio quel giorno, incuriosita dal fatto che si parlasse di extraterrestri che abitano sul nostro pianeta (è un tema che mi affascina da sempre) e ritenendo che si sposasse bene con la trama di Le strane storie di Fukiage che invece racconta di alieni di altre dimensioni. Dopo aver letto alcune pagine del romanzo di Mishima, decido come mio costume di chiudere e di prendere l’altro libro, di cui ero arrivata circa a metà. E sapete cosa scrive la Yoshimoto nella prima pagina che leggo quel giorno? “Ci eravamo ritrovati di fronte un piccolo UFO - proprio come nel romanzo di Mishima Yukio”. Questa coincidenza mi ha fatto sorridere, e non ho potuto evitare di essere estremamente contenta dei due libri che avevo scelto.
Consiglio: se vi piacciono i gialli fantastici e pieni di buoni sentimenti, questo libro fa sicuramente al caso vostro. E poi, diciamocelo, la Yoshimoto ha un faccino che suscita simpatia, e già solo per questo mi viene voglia di leggere ancora i suoi libri per sapere che altro ha da raccontarci.
Au revoir, mes amis! ;-)





martedì 16 aprile 2024

Gli Occhiali d’Oro di Giorgio Bassani

Sono tanti i motivi per cui vale la pena leggere un libro di Giorgio Bassani: uno di questi è certamente la lingua, il lessico forbito d’altri tempi che ci aiuta ad arricchire il nostro vocabolario con parole non ancora desuete, ma comunque sperdute in quest’epoca in cui la lingua che utilizziamo è spesso spiccia ed usata in modo scorretto. Un altro motivo è il contesto in cui si svolge la storia, con quelle atmosfere che ancora portano con sé il fascino della Belle Époque e che ancora non sono state sporcate dalle famigerate leggi razziali. Fondamentale per me è anche la sensibilità dell’autore che ci introduce a personaggi meravigliosi come Athos Fadigati. 
Sembra pazzesco, ma in questo periodo storico in cui “crediamo” di aver abbattuto le barriere del pregiudizio, le vicende del dottor Fadigati risultano comunque attuali: il povero dottore si presta quasi con gioia a subire le angherie del suo carnefice, pur di farlo contento; se è vero che al giorno d’oggi non si riderebbe della presunta omosessualità di qualcuno, e probabilmente neppure ci si farebbe molto caso, è pur vero però che anche oggi come allora, la società disprezza e rifiuta chi si lascia calpestare. Ancora oggi vincono coloro che, senza scrupoli, usano la loro avvenenza ed il loro fascino per schiacciare chi invece si mostra buono, onesto e sensibile con tutti.
Ancora oggi vincono i narcisisti. 
Quanto l’animo umano possa ridursi alla grettezza più bieca, non è l’unico tema affrontato in questo romanzo. Anche qui, come in altri libri di Bassani, si tocca un argomento spinoso che è giusto non dimenticare: quello dell’ “israelita” che vede avanzare lentamente la propria rovina dopo che il Duce ha stretto alleanza con la Germania nazista. Ed ecco quindi che una città in pieno fermento culturale, con famiglie nelle quali e tra le quali si discorre di arte, poesia e letteratura classica o talvolta anche di politica (con rammarico di chi preferirebbe solo argomenti culturali) sulla spiaggia così come all’ora di pranzo, ecco quindi che questa città così ricca su ogni piano si trova di colpo divisa. Gli “amici” non si preoccupano di ferire chi è in una posizione più scomoda, e ci si volta le spalle gli uni con gli altri senza quasi rendersene conto.
Una chicca: verso la fine del libro si cita anche la famiglia Finzi-Contini già protagonista di un altro romanzo di Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini appunto, che avevo avuto il piacere di leggere durante l’università per un esame di Letteratura Italiana.
Vi segnalo inoltre il film con lo stesso titolo di questo libro, Gli Occhiali d’Oro, con protagonista il bravissimo Philippe Noiret, che ricordo di aver apprezzato enormemente, nonostante, ve lo confesso, avessi deciso di guardare il film solo perché da ragazza ero super innamorata di Rupert Everett (complice la mia mania per Dylan Dog).
Ed anche questa volta il mio consiglio è: leggetelo! 
Au revoir, mes amis! ;-)







giovedì 11 aprile 2024

Solo bagaglio a mano di Gabriele Romagnoli

Non mi aspettavo di leggere ciò che ho appena finito di leggere. Mi piace comprare i libri in base al titolo o alla copertina, senza avere la minima idea di cosa parlino; stessa cosa faccio con i film. E Solo bagaglio a mano di Gabriele Romagnoli mi ha lasciata a bocca aperta dal momento in cui l’ho iniziato: mai più mi sarei immaginata l’argomento trattato. Non è un romanzo, non è un saggio. Sono semplici considerazioni sulla vita. 
Romagnoli è scrittore e giornalista, estremamente bravo a scrivere e parecchio coinvolgente, ed altrettanto incredibilmente bravo nel ricordarsi notizie e fatti di cronaca, di cui ci sono svariati esempi in questo libro. 
Per anni ho letto Vanity Fair, e la prima cosa che facevo appena lo compravo, era andare a cercare i suoi articoli, perché riusciva sempre a stupirmi e a farmi ridere, nonostante gli intenti non fossero propriamente comici, ma sottilmente ironici. E mi fa ancora questo effetto. Ho l’abitudine di leggere al bar. E con questo libro è stato un disastro. Ci sono state frasi per cui non ho potuto reprimere una fragorosa risata, e mi sono subito guardata intorno, con un lieve imbarazzo, per vedere chi se ne fosse accorto. E un paio di pagine dopo, mentre l’autore rievoca fatti di cronaca nera che non conoscevo o a cui non pensavo da tempo, non ho potuto trattenere le lacrime, e di nuovo mi sono guardata attorno. Eppure Gabriele Romagnoli li racconta con una tale semplicità ed onestà che fa ancora più male leggerli.
Vi starete forse chiedendo a che pro Romagnoli citi queste vecchie notizie da telegiornale: lo fa per spiegare meglio queste sue considerazioni sulla vita di cui vi parlavo prima, che altro non sono che un inno all’essenzialità.
Questo libro ci fa riflettere su chi e su cosa è veramente importante e necessario portare con noi nel viaggio della nostra vita, e serve sicuramente ai molti di noi che, sebbene si vestano ormai senza fronzoli e non soffrano più di shopping compulsivo, ancora non riescono a liberarsi delle zavorre accumulate negli anni, di quegli oggetti inutili che teniamo per ricordo (ma ricordo di che? non ci basta la nostra memoria?), come le bomboniere o le agendine regalateci dai rappresentanti e mai utilizzate e che forse ci torneranno utili in futuro (e quando? quando si ripresenterà l’anno in corso con esattamente le stesse date?). Zavorre sono anche tutte quelle foto e quelle informazioni di cui riempiamo le nostre memorie digitali, quando ci basterebbero i ricordi che abbiamo nel cuore e nella mente. Zavorre sono anche le persone che chiamano amici, ma che in realtà sono solo conoscenze, perché i veri amici sono meno delle dita di una mano. Questo è ciò che ci insegna Gabriele Romagnoli con il suo libro, senza la pretesa di diventare un guru od un santone, lui che di certo non è interessato a nessun tipo di spiritualismo e non sembra quindi avere tali velleità. Ed è un libro che capita sempre nel momento giusto, per apprezzare ciò che si ha anziché disperarsi per ciò che non si ha, per saper lasciare andare quegli “amici” o quegli “amori” che tali non erano e saperci circondare solo di quelle poche persone che ci vogliono davvero e che davvero meritano le nostre attenzioni e la nostra presenza. E presenza è sicuramente un concetto chiave di queste considerazioni. Vivere in presenza. O meglio vivere nel presente. Sbarazzandosi dell’ingombrante bagaglio del passato e delle aspettative ansiogene del futuro. E ci tengo a sottolineare che non ho fatto citazioni dal libro né ho riguardato le pagine con le frasi che più mi hanno colpita, perché ho preferito affidarmi alla memoria, così come consiglia Romagnoli.
E di Romagnoli invece non voglio proprio disfarmi, quindi continuerò imperterrita a leggere i suoi libri. Magari chissà, troverò il coraggio di buttarli dopo averli letti, ma di sicuro mi resteranno nel cuore e nella memoria.
Au revoir, mes amis ;-)









domenica 7 aprile 2024

L’oceano in fondo al sentiero di Neil Gaiman

Quanto mi piacciono i romanzi dark fantasy di Neil Gaiman. Per me L’oceano in fondo al sentiero  rappresenta un “ritorno al passato”, dato che American Gods, di cui vi avevo parlato un paio di mesi fa, ha delle tinte più crude e molto diverse da tutti i libri che di lui avevo letto fino a quel momento. 
Amo profondamente tutto ciò che scrive Neil Gaiman, per come sa raccontare, in maniera fluida e snella, episodi fiabeschi, dai tratti gotici e talvolta quasi horror, che ci fanno venir voglia di rintanarci sotto le coperte dei nostri letti per evitare che i mostri cattivi ci mangino.

Neil Gaiman riempie tutto questo di poesia, di magia primordiale e sparge qua e là profonde verità, come quando in L’oceano in fondo al sentiero ci ricorda che “è quello il problema con gli esseri viventi, che non durano a lungo. Oggi sono micetti, domani gatti vecchi. Dopodomani solo ricordi. E i ricordi sbiadiscono, si imbrogliano, si confondono…” Oppure come quando, in questo stesso romanzo, Lettie Hempstock svela sia a noi sia al protagonista (di cui non sappiamo il nome) che “nemmeno gli adulti, dentro, hanno l'aspetto degli adulti. Fuori sono grandi e grossi, sventati e sicuri di sé. Dentro, invece, hanno l'aspetto di sempre, quello che avevano alla tua età. La verità è che gli adulti non esistono. Non ce n'è nemmeno uno in tutto il mondo”. 
Con L’oceano in fondo al sentiero Gaiman torna dunque alle atmosfere inquietanti eppure meravigliose dei vari Coraline, Nessundove e Il figlio del cimitero, in cui i protagonisti si trovano per puro caso invischiati in situazioni inspiegabili e decisamente più grandi di loro, e da cui usciranno grazie all’aiuto di esseri fantastici (nel senso proprio di magici, e che si distinguono in particolare per i loro immensi cuori d’oro), affrontando i tipici mostri che affollavano gli incubi della nostra infanzia, e che talvolta hanno intenzioni realmente malvagie, altre volte invece sono solo goffi e capricciosi come i bambini stessi.
Sebbene il protagonista sia un bambino di sette anni, non è un libro per bambini, ma anzi, come ci confida l’autore negli Extras dell’edizione Mondadori: “A un certo punto ho capito che non volevo scrivere quel libro per i bambini; volevo scriverlo per chiunque avesse mai avuto sette anni”.
Ed anche qui, come nel mio amatissimo Il figlio del cimitero, non ho potuto non innamorarmi perdutamente della piccola “streghetta” Hempstock. Se chiedete il mio parere, la sua presenza è già un motivo più che valido per tuffarsi immediatamente tra le pagine di questo sogno (o forse incubo?) ad occhi aperti.
Au revoir, mes amis ;-)