Translate

domenica 7 aprile 2024

L’oceano in fondo al sentiero di Neil Gaiman

Quanto mi piacciono i romanzi dark fantasy di Neil Gaiman. Per me L’oceano in fondo al sentiero  rappresenta un “ritorno al passato”, dato che American Gods, di cui vi avevo parlato un paio di mesi fa, ha delle tinte più crude e molto diverse da tutti i libri che di lui avevo letto fino a quel momento. 
Amo profondamente tutto ciò che scrive Neil Gaiman, per come sa raccontare, in maniera fluida e snella, episodi fiabeschi, dai tratti gotici e talvolta quasi horror, che ci fanno venir voglia di rintanarci sotto le coperte dei nostri letti per evitare che i mostri cattivi ci mangino.

Neil Gaiman riempie tutto questo di poesia, di magia primordiale e sparge qua e là profonde verità, come quando in L’oceano in fondo al sentiero ci ricorda che “è quello il problema con gli esseri viventi, che non durano a lungo. Oggi sono micetti, domani gatti vecchi. Dopodomani solo ricordi. E i ricordi sbiadiscono, si imbrogliano, si confondono…” Oppure come quando, in questo stesso romanzo, Lettie Hempstock svela sia a noi sia al protagonista (di cui non sappiamo il nome) che “nemmeno gli adulti, dentro, hanno l'aspetto degli adulti. Fuori sono grandi e grossi, sventati e sicuri di sé. Dentro, invece, hanno l'aspetto di sempre, quello che avevano alla tua età. La verità è che gli adulti non esistono. Non ce n'è nemmeno uno in tutto il mondo”. 
Con L’oceano in fondo al sentiero Gaiman torna dunque alle atmosfere inquietanti eppure meravigliose dei vari Coraline, Nessundove e Il figlio del cimitero, in cui i protagonisti si trovano per puro caso invischiati in situazioni inspiegabili e decisamente più grandi di loro, e da cui usciranno grazie all’aiuto di esseri fantastici (nel senso proprio di magici, e che si distinguono in particolare per i loro immensi cuori d’oro), affrontando i tipici mostri che affollavano gli incubi della nostra infanzia, e che talvolta hanno intenzioni realmente malvagie, altre volte invece sono solo goffi e capricciosi come i bambini stessi.
Sebbene il protagonista sia un bambino di sette anni, non è un libro per bambini, ma anzi, come ci confida l’autore negli Extras dell’edizione Mondadori: “A un certo punto ho capito che non volevo scrivere quel libro per i bambini; volevo scriverlo per chiunque avesse mai avuto sette anni”.
Ed anche qui, come nel mio amatissimo Il figlio del cimitero, non ho potuto non innamorarmi perdutamente della piccola “streghetta” Hempstock. Se chiedete il mio parere, la sua presenza è già un motivo più che valido per tuffarsi immediatamente tra le pagine di questo sogno (o forse incubo?) ad occhi aperti.
Au revoir, mes amis ;-)







Nessun commento:

Posta un commento