Avete mai visto il film Fight Club, con un “esplosivo” Brad Pitt, uno psicotico (e BRAVISSIMO) Edward Norton, una super affascinante Helena Bonham-Carter ed un giovanissimo Jared Leto?
Ero andata a vederlo al cinema nel 1999, quando era uscito, e l’avevo trovato geniale, assolutamente diverso da quello che mi avevano fatto credere i vari programmi radio o TV in cui ne avevo sentito parlare e che all’epoca lo descrivevano come una sorta di inno alla violenza. Questa non è la mia opinione. Certo, il titolo parla proprio di un gruppo di persone che si ritrovano settimanalmente in uno scantinato per dei combattimenti corpo a corpo, ma non è questo il tema principale della storia. Il fulcro di tutta la vicenda è fondamentalmente una denuncia al capitalismo, che si trasforma ben presto in una vera e propria ribellione, prima solo dei due protagonisti, e poi di gran parte della massa proletaria (anche se, perdonatemi, sto usando un termine non appropriato, dato che la maggior parte di loro nemmeno ha figli) che segue Tyler Durden come un leader indiscusso.
Fight Club è diventato per me, nel corso degli anni, un film culto da cui non si può prescindere. Un paio di settimane fa sono entrata in libreria e ho notato una fantastica promozione di due bestseller Mondadori a soli 12,90 € e in bella mostra c’era proprio Fight Club di Chuck Palahniuk: non ho saputo resistere.
Il libro ha chiaramente lo stesso spirito del film, ma soprattutto lo stesso ritmo e talvolta persino le stesse battute; ed è pazzesco, perché, prima d’ora, non mi era mai capitato di trovare una trasposizione cinematografica così fedele al romanzo. La narrazione è un flusso di coscienza del protagonista, di cui pertanto non viene fatto il nome e che condisce il racconto con le sue personali opinioni e riflessioni, spesso farcite di una sottile ironia, decisamente colta ed intelligente. E quando per caso incontrerà Tyler Durden su uno dei tanti voli che prende per lavoro, questi esprimerà al meglio le di lui fantasie, mettendole in atto senza remore, perché Tyler, “perfettamente bello, un angelo nella sua onnibiondezza” è tutto ciò che il protagonista non è: coraggioso, astuto, ha fegato, “Tyler è divertente e spiritoso e forte e indipendente e gli altri uomini lo ammirano e aspettano che cambi il loro mondo. Tyler è abile e libero e io non lo sono”.
Eppure il narratore e Tyler Durden, pur nel loro essere diametralmente opposti, si trovano d’accordo su come vada vissuta la vita, ovvero solo con ciò che realmente serve. Il protagonista, infatti, si accorge ben presto di essere schiavo della propria casa e di tutto ciò che possiede, eppure quando viaggia per lavoro, porta con sé solo l’essenziale: “sei camicie bianche. Due calzoni neri. Il minimissimo indispensabile alla sopravvivenza. Sveglietta da viaggio. Rasoio elettrico a batterie ricaricabili. Spazzolino da denti. Sei paia di mutande. Sei paia di calze nere” (e qui mi è venuto spontaneo ripensare a Solo bagaglio a mano di Gabriele Romagnoli). Sarà Tyler a dargli un nuovo e più autentico scopo nella vita grazie alla sua filosofia minimalista, volta alla disintegrazione della propria identità, ripetendo frasi come “tu non sei il tuo nome”, “tu non sei la tua famiglia”, “tu non sei la tua età”, “tu non sei il tuo lavoro”, “tu non sei i tuoi problemi “, e così via.
È stata una lettura forte, leggermente più forte del film, a tratti destabilizzante, ma soprattutto illuminante. E questa attrazione mista a possessività che il protagonista prova per Tyler, suo alter ego o meglio, suo opposto nonché omologo, mi ha richiamato alla memoria il tema del doppio, tanto caro alla letteratura dell’Otto e Novecento, presente non solo in romanzi come The strange case of Dr Jekyll and Mr Hyde o The Picture of Dorian Gray, ma anche in Frankenstein (il narratore, il dottore, la creatura), Heart of Darkness (si pensi a Markow e Kurtz), o Mrs Dalloway (Clarissa e Septimus).
E adesso vi saluto ricordandovi che “la prima regola del Fight Club è che non si parla del Fight Club. La seconda regola del Fight Club è che non si parla del Fight Club”.
Au revoir, mes amis! ;-)
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