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giovedì 21 aprile 2016

Words, words, words.

C'è qualcosa che si possa scrivere su Shakespeare che non sia già stato scritto? Sì. Ovvero ciò che io provo per lui: lo amo, da sempre, profondamente.
Perché mi accingo a scrivere questo articolo? Perché, per chi non lo sapesse, il 23 aprile 2016 è #Shakespeare400, il quattrocentesimo anniversario della morte del nostro caro William. Doveroso commemorarlo, soprattutto per una britgirl come me.
Nato nel 1564, vissuto a cavallo tra i regni di Elizabeth I e James I, e morto nel 1616, William Shakespeare è stato indubbiamente il più grande drammaturgo di tutti i tempi.
Sarò banale, ma se penso alle sue opere, le prime che mi vengono in mente sono le più classiche, quelle che anche i profani conoscono: Romeo and Juliet, Hamlet, Macbeth.
Quante volte i suoi drammi mi hanno fatto piangere? Ricordo quando dovevo preparare l'esame al primo anno di università: leggevo Romeo and Juliet, arrivavo sempre allo stesso punto ed ero costretta a fermarmi, interrotta nella mia lettura dalle lacrime che non volevano smettere di scendere: "thy lips are warm", le tue labbra sono ancora calde. Persino mentre sto scrivendo questo articolo piango. Juliet ha appena scoperto che Romeo è morto; senza esitazione cerca il veleno nella coppa che lui ha in mano. Ma lo ha bevuto tutto, non ne ha lasciato neanche una goccia per la sua amata. Allora lei lo rimprovera per il suo egoismo; lo bacia sulla bocca sperando vi sia rimasto almeno un poco di quel veleno letale. E capisce dalle sue labbra calde che Romeo è morto da pochi istanti. Destino infame! Ed ecco la potenza di Shakespeare nel creare emozioni. Ogni volta imploro Romeo di non suicidarsi perché Juliet si sta per svegliare. Ogni volta non mi capacito che questi due adolescenti muoiano a pochi attimi di distanza l'uno dell'altra e senza nemmeno sapere il perché. In ogni tragedia i protagonisti muoiono consapevoli di ciò che sta loro accadendo. Ma qui no. Romeo non sa che Juliet è in realtà viva. E Juliet non immagina neanche lontanamente la ragione per cui il suo amato ha compiuto quel gesto estremo. Ma non le importa. L'importante è seguirlo nel suo destino.
E quante volte i protagonisti dei drammi shakespeariani mi hanno fatto venire il nervoso? Hamlet, perché tratti male Ophelia solo per la tua sete di vendetta nei confronti di tuo zio? Macbeth, ma ti rendi conto di che razza di casino hai intavolato per avidità? Othello, ma ancora non hai capito che devi credere a quella santa donna di Desdemona che ti sopporta, e non a quel pazzo invidioso di Iago? Ma che avete tutti in quelle teste? Ed ecco che ogni volta mi fanno arrabbiare. Eppure non riesco a smettere di amarli, proprio Hamlet ad esempio, che si finge pazzo per i suoi scopi, ma che in realtà pazzo è davvero, e soffre; Macbeth e Lady Macbeth, malvagi, tremendi, eppur così pieni di amore e passione l'uno verso l'altra, che è quasi impossibile non restare affascinati dalla loro relazione.
Ma Shakespeare non è solo pianti e sofferenza. Shakespeare sa farci ridere di gusto: come accade seguendo i dispetti e i pasticci che combina il folletto Puck in A Midsummer Night's Dream; ma è anche capace di farci riflettere sull'antisemitismo di cui è vittima l'ebreo Shylock in The Merchant of Venice.
Una delle cose che più adoro nell'opera shakespeariana è l'attualità delle sue storie. Proprio così, questi drammi potrebbero essere ambientati in qualsiasi tempo perché i temi e i personaggi presenti in essi, con le loro sfaccettature, sono adattabilissimi ad ogni epoca, passata e futura. Vi sarà forse capitato di vedere Hamlet di Kenneth Branagh, che si svolge in uno scenario simil-ottocentesco; oppure Hamlet 2000, ambientato, come già suggerisce il titolo, nella New York contemporanea; o ancora Richard III, con Ian McKellen, che porta la storia negli anni Trenta del secolo scorso, in un'immaginaria Inghilterra nazi-fascista. Pare d'obbligo qui citare il famosissimo William Shakespeare's Romeo + Juliet di Baz Luhrmann, con Leonardo DiCaprio e Claire Danes, ambientato in una modernissima Verona Beach (probabile calco di Venice Beach), sebbene il finale non sia propriamente shakespeariano (e non me ne voglia Mr Luhrmann che è tra l'altro uno dei miei registi preferiti).
E che dire ancora della presenza di Shakespeare e del suo variegato universo in canzoni (da Bob Dylan ai Dire Straits) ed episodi di serie TV (tra cui i miei amatissimi Doctor Who, Star Trek e persino i Simpson)? Insomma, William Shakespeare è dovunque, impossibile che non lo conosciate, anche solo trasversalmente; e credetemi, è impossibile che non lo amiate.
C'è anche chi sostiene che non sia mai esistito, o che le sue opere siano addirittura state scritte dal suo eterno rivale Christopher Marlowe. Ma tutto questo è davvero importante? Trovate il tempo se possibile di guardarle a teatro, o di leggerle direttamente, o anche di vederle in qualche trasposizione cinematografica o televisiva. Sono sicura che vi appassioneranno, nel caso in cui non l'abbiano già fatto. E poi fatemi sapere. Mentre aspetto i vostri commenti, pubblici o privati, passerò il tempo guardando l'ultimo Macbeth, quello con Michael Fassbender, che ho acquistato giusto oggi in blu-ray. Così, tanto da bearmi per l'ennesima volta dei dialoghi e monologhi shakespeariani. E poi, come dicevo, c'è Fassbender: di già mi delizio anche gli occhietti...
PS: come al solito ho parlato tantissimo, spero non troppo, ma del resto in questo mio blog è normale leggere parole, parole, parole, "words, words, words", come diceva il mio amato Hamlet a quell'insulso e viscido di Polonius.
Au revoir, mes amis! ;-)