Translate

domenica 10 settembre 2023

Ma gli androidi sognano pecore elettriche?

Mi è capitato almeno un paio di volte in questo blog di parlarvi, perlomeno trasversalmente, di Blade Runner (Amami come Vincent ama Irene e Andrea). È un film che adoro, l’ho visto più volte con i diversi finali, ed è tutta colpa del mio insegnante di filosofia del liceo che me ne aveva fatto innamorare. Proprio lui ci aveva anche parlato del romanzo a cui il film è liberamente ispirato, Do androids dream of electric sheep?, in italiano tradotto prima con Il cacciatore di androidi, e poi pubblicato con il titolo originale Ma gli androidi sognano pecore elettriche?

Questo titolo mi aveva affascinato da subito ai tempi del liceo, lo trovavo geniale, e mi ero ripromessa di leggere il libro prima o poi. All’epoca leggevo soprattutto i grandi classici della letteratura, oppure quando volevo rilassarmi leggevo fumetti italiani o manga. Ora però leggo di tutto, narrativa di ogni tipo e persino saggistica, quindi è finalmente arrivato il momento degli androidi di Philip K. Dick.
Sono una lettrice lenta, ma costante, come mi ha definito una mia collega, e di solito non leggo autori americani perché li trovo pesanti. Ma questo romanzo è risultato scorrevole persino per me: l’ho letto in pochissimi giorni. 
Per chi come me è un cultore del film, noterà parecchie differenze: Deckard è decisamente meno eroico e più inetto nel libro, e a questa apatia contribuisce non poco la depressione a cui si obbliga la moglie Iran, totalmente assente nel film; J.F. Sebastian, progettatore genetico impiegato dalla Tyrell Corporation, è in realtà J.R. Isidore, uno “speciale” con cervello di gallina, che essendo stato contaminato dalle radiazioni dell’Ultima Guerra Mondiale, mai citata nel film, non può emigrare su altri pianeti né ha il permesso di riprodursi; Rachael, che appare dolcissima e indifesa nel film, e non possiamo che simpatizzare con lei, è invece fredda e calcolatrice nel libro. E le differenze non si fermano qui.
La San Francisco polverosa e piena di “palta” (i rifiuti organici ed inorganici che secondo Isidore si riproducono per una sorta di legge universale) si trasforma in una Los Angeles cupa e continuamente bagnata da piogge acide.
Una precisazione in particolare va fatta sugli androidi: nel mio vecchio post Andrea li descrivevo come “robot con fattezze umane dotati di un’intelligenza propria”, a differenza dei replicanti del film Blade Runner che erano invece “costituiti interamente di tessuto biologico creato in laboratorio”. Non sembra essere così nel libro in questione, perché se è vero che qui si trovano gli androidi anziché i replicanti, è pur vero che questi droidi, che vengono spesso definiti “macchine” dal cacciatore di taglie Deckard, necessitano però di un esame del midollo osseo una volta “ritirati” (ovvero uccisi) per accertarsi che siano realmente androidi e non esseri umani. Quindi? Sono anche loro composti da tessuti organici come i replicanti? E perché vengono visti come macchine se non hanno nulla di meccanico? Solo perché sono creati artificialmente?
La cosa non mi è chiara. Ma mi è assolutamente chiaro il modo in cui Dick ci sfida mettendo in dubbio le nostre convinzioni. Deckard infatti si sente tranquillo e con la coscienza a posto perché non ritiene di essere un assassino, ma solo un poliziotto che fa il suo dovere “ritirando” droidi. La moglie Iran invece lo qualifica, fin dalle prime pagine, come un vero e proprio assassino. E più si va avanti, più Deckard si accorge che sua moglie non ha torto; d’altra parte l’unica colpa di questi androidi è di voler vivere una vita degna e da persone libere, smettendo di essere schiavi degli umani su pianeti lontani ed invivibili come Marte. Altra grande differenza con il film: la cricca di Roy Batty era invece approdata sulla Terra per sapere dal loro creatore quanto tempo ancora restava loro da vivere.
L’empatia è la grande assente dal film e  l’indiscussa protagonista del libro. È l’empatia, secondo le stesse parole di Deckard, che distingue gli umani dagli animali predatori nonché dagli stessi androidi. Ma è qui che sorgono i problemi di natura esistenziale e filosofica: i sociopatici sono per definizione  privi di empatia, potrebbero quindi essere “ritirati” per errore? E capita a volte che non solo a loro manchi l’empatia, ma anche a chi per lavoro termina vite artificiali senza pensarci due volte… E alcuni droidi si mostrano più sensibili di molti umani (si veda anche nel film lo stesso Roy Batty che si rivela migliore del suo cacciatore). Mi ha colpito Isidore, il cervello di gallina, che agli inizi fa delle riflessioni notevoli sulle proprie capacità empatiche, decisamente più sviluppate che in molti altri umani, e si chiede se siano date dalla sua condizione di “speciale”.
Così come l’empatia, anche il Mercerianesimo, simil religione, fondamentale per alcuni aspetti della trama del romanzo, non è presente nel film.
Non vi spoilero le situazioni di due personaggi cosi diverse rispetto al film, al punto che quando le ho lette mi hanno fatto esclamare: “Oh! Ma no!” (Se poi volete sapere, scrivetemi in privato, as usual). Però vi cito le due frasi che più mi hanno colpito: “la maggior parte degli androidi che ho conosciuto hanno più vitalità e desiderio di vivere di mia moglie. Non ha nulla da darmi” (Deckard) e “solo perché tu sei una persona di elevati principi morali. Io, invece, no. Io non giudico nessuno, neanche me stesso” (Mercer rivolto a Isidore).
E con questo chiudo la mia recensione e vi consiglio: leggetelo. Ma se riuscite, guardate prima il film :) 
Au revoir, mes amis! ;-)

sabato 26 agosto 2023

L’Alsace et les contes de fées

Salut à tout le monde!
E dopo due anni di silenzio in cui mi sono semplicemente goduta la serenità della mia splendida famiglia e la felicità (talvolta un po’ stressata) del mio lavoro adorato, sono tornata.
Sono tornata per voi, per raccontarvi la mia vacanza da favola, o meglio, da fiaba dei fratelli Grimm, ed eventualmente darvi consigli utili (spero!) nel caso decideste di fare questo nostro stesso giro.
Pronti a partire? On y va!
Per chi mi segue su Instagram (https://instagram.com/mokuren75) ricorderà forse che nel febbraio 2018 ho accompagnato alcune classi del Liceo Linguistico del nostro istituto in gita a Strasburgo e dintorni. Ero rimasta così incantata da quei paesini fiabeschi che mi ero ripromessa di tornarci quanto prima con i miei bambini, certa che avrebbero anche loro apprezzato la magia di quei posti fatati.
Per chi non lo sa, Strasburgo è il capoluogo della regione francese dell’Alsazia, nonché capitale della UE e sede ufficiale del Parlamento europeo, scelta proprio in quanto, per secoli, è stata contesa tra Francia e Germania ed è infine divenuta il simbolo della riconciliazione franco-tedesca; motivo per cui la cultura in queste zone presenta tratti sia francesi che tedeschi, prendendo il meglio da entrambi, e la lingua è decisamente affine al tedesco nonostante si sia formalmente in Francia.
Così, il 10 agosto alle sette e mezza circa di mattina siamo partiti alla volta di Colmar, 75 km a sud di Strasburgo.
Edificio a graticcio
Edificio a graticcio 


Attraversando la Svizzera, con le dovute soste (almeno tre) e la coda subito prima di raggiungere il Gottardo, siamo giunti ad Eguisheim alle tre circa. Siamo rimasti lì poco più di un’oretta, giusto il tempo di visitare il suo centro pieno delle caratteristiche  case a graticcio, tipiche di tutta l’Alsazia.
Ma la cosa che più ci ha colpito di questo splendido paesino è stata la quantità di cicogne che si possono vedere tranquillamente nei loro nidi sui tetti degli edifici.

Tre cicogne in due nidi


Nido di cicogna ad Eguisheim 




Avevo letto sulla guida turistica della Lonely Planet, Francia settentrionale e centrale, EDT, che è Hunawihr la città per eccellenza delle cicogne, ma noi ci siamo accontentati di scorgerle ad Eguisheim e quindi non ci siamo passati.
Finalmente alle cinque siamo arrivati in hotel a Colmar, paese natale di Frédéric-Auguste Bartholdi, creatore della Statua della Libertà. L’albergo, leggermente decentrato, bellissimo e confortevolissimo, con colazione inclusa (dolce, salata e, per chi lo desidera, senza glutine) e parcheggio gratuito, ve lo consiglio vivamente: https://g.co/kgs/vdnyHtibis Styles Colmar Nord+33 3 89 41 49 14


Ed ecco cosa si vede arrivando all’hotel:




Ora vi mostro un po’ delle meraviglie che abbiamo ammirato a Colmar. Premetto che in quei due giorni non ci siamo soffermati a vedere musei perché non ce n’è stato il tempo, ma abbiamo preferito goderci il fiabesco centro cittadino, visitare il Castello di Haut-Koenigsburg e altri paesini nei dintorni (Riquewihr, Ribeauvillé, Obernai) e fare un romanticissimo giro in barca al tramonto.




















Entrambe le sere passate a Colmar


abbiamo cenato
 in una carinissima brasserie di Rue de Tanneurs (conciatori) che porta il suo nome, ed abbiamo cenato con un succulento  controfiletto accompagnato da patatine fritte, da una caponata tutta francese e dal caratteristico burro all’aglio

e con una tipica tarte flambée.

Il secondo giorno ci siamo diretti al Castello di Haut-Koenigsburg, ad una ventina di minuti da Colmar, nel Comune di Orschwiller, attraversando altri paesini pittoreschi. Prendetevi un paio d’ore per visitare in tranquillità questo imponente maniero in arenaria rossa, antico di nove secoli, ma fatto ricostruire nel 1908 dal Kaiser Guglielmo II. Dalle sue alture potrete anche ammirare, tempo permettendo, la catena montuosa dei Vosges e parte della Foresta Nera.



Ulteriore nota di merito per Haut-Koenigsburg: abbiamo pranzato all’interno del castello in stanze
medievali corredate di una libreria molto suggestiva e fornitissima di volumi, a fumetti e non, con storie ambientate in questo stesso maniero. Buona cucina e buone letture: che si può desiderare di più? 
Un’altra cosa da desiderare in realtà ci sarebbe: un rilassante giro in barca sui canali della Petite Venise di Colmar. Prenotatelo qualche ora prima (i posti scarseggiano) al molo del Pont Rue de Turenne. Vi consiglio di farlo verso il tramonto, quando i colori pastello delle case a graticcio e dei gerani che sporgono da balconi e finestre risaltano maggiormente.






Il terzo giorno ci siamo diretti a Strasburgo, facendo varie tappe in altri paesini. Il primo in cui ci siamo fermati è stato Riquewihr, in cui non ero mai stata, ma che ho voluto a tutti i costi visitare, in quanto avevo letto nel web che il suo centro pittoresco aveva ispirato il villaggio del film Disney La Bella e la Bestia.








Più tardi ci siamo spostati a Ribeauvillé, piccolo paesino di cinquemila abitanti e luogo di ritrovo dei pifferai nel Medio Evo, dove abbiamo pranzato, e nel pomeriggio abbiamo proseguito per Obernai, a 31 km da Strasburgo, un po’ più grande degli altri centri incontrati finora e che ci è piaciuta tantissimo: vale la pena tornarci.

Ribeauvillé, statua di pifferaio



Scorcio pittoresco di Ribeauvillé 


E adesso alcune foto di Obernai:







Dopo aver trascorso circa un’oretta in ognuna delle cittadine citate, che è in effetti il tempo essenziale per visitarle, nel tardo pomeriggio di sabato 12 agosto siamo infine giunti a Strasburgo, tappa principale del nostro viaggio, e ci siamo immediatamente diretti a fare il check-in nel nostro albergo, centralissimo e con una vista mozzafiato (nella foto sottostante noterete, sulla destra, un palo di sbieco su cui cammina una simpatica signorina… finta! che mi ha fatto prendere un colpo). Anche qui ci siamo trovati altrettanto bene come all’Ibis Hotel di Colmar, peccato che il parcheggio sia sotto l’albergo, ma non incluso nel prezzo e costa ben 22 € al giorno; ve ne fornisco le coordinate: https://all.accor.com/hotel/0439/index.it.shtml



E alla sera abbiamo cenato in un posto molto chic, Brasserie Bohëm, in cui siamo tornati i giorni seguenti anche per le gustosissime colazioni dolci e salate, e dove fortunatamente si può trovare ben più dei tipici würstel alsaziani, o knacks, come li chiamano loro.
Perdonate la mia ignoranza, ma abituata a vivere in una cittadina di provincia in cui la maggior parte dei negozi sono aperti sette giorni a settimana, non mi aspettavo che nella capitale europea invece fossero chiusi la domenica e i festivi, come d’altronde in tutto il resto della Francia. Così abbiamo potuto dedicarci alla mia attività preferita, lo shopping compulsivo di libri, soltanto il lunedì.
Alla domenica abbiamo quindi recitato la parte dei turisti tout-court e ci siamo subito precipitati all’ufficio del turismo per fare la Strasbourg City Card, che spendendo solo 5 € per gli adulti e 3,50 € per i ragazzi, offre accessi scontatissimi a varie attrazioni ed attività turistiche; al mattino siamo quindi saliti sulla piattaforma della cattedrale (non ho contato i gradini, ma sono sicuramente un numero approssimato all’infinito) da cui si gode una superba vista dell’intera città, poi al pomeriggio abbiamo fatto sia il giro su le Petit Train de Strasbourg, sia la visita in battello, Strasburgo 20 secoli di storia, con Batorama












Il giorno dopo invece, dopo lo shopping sfrenato nelle meravigliose librerie del centro, abbiamo visitato il museo archeologico e il museo delle belle arti che si trovano proprio di fronte alla cattedrale, situati entrambi all’interno di Palais Rohan. Nel primo si attraversano gli anni della preistoria dell’Alsazia fin al primo Medioevo; nel secondo si possono ammirare, tra gli altri, dipinti di Giotto, Raffaello, Botticelli, Canaletto, Tiepolo e vari pittori fiamminghi.


Una curiosità: forse come me, non sapevate che il tedesco Gutenberg, inventore della stampa a caratteri mobili, ha vissuto per alcuni anni anche a Strasburgo, motivo per cui è molto celebrato in città.



Ed infine l’ultimo giorno a Strasburgo, prima di partire per Friburgo in Germania, abbiamo passeggiato per la coloratissima Petite France, quartiere di Strasburgo tipicamente alsaziano, fino ad arrivare alla terrazza panoramica.









Prima di pranzo siamo partiti per Friburgo in Brisgovia. Ci vuole soltanto un quarto d’ora per entrare in Germania e circa un’oretta per raggiungere Friburgo. L’albergo era un Novotel come quello di Strasburgo, altrettanto bello ed elegante, e nuovamente con parcheggio sottostante, ma non incluso (20 € al giorno): https://all.accor.com/hotel/5383/index.it.shtml?utm_campaign=seo+maps&utm_medium=seo+maps&utm_source=google+Maps

E udite udite, i negozi in Germania sono aperti anche a Ferragosto! Yippee!! Così perlomeno ho potuto fare shopping compulsivo di vasetti vari di burro di arachidi e crema di anacardi e salvarmi la colazione del giorno dopo (comprare libri in Germania sarebbe per me inutile, non conoscendo il tedesco).
Ciò che ho trovato particolarissimo sono i canaletti in cui scorre l’acqua pulita del fiume Dreisam, vera attrazione per i più piccoli che ci giocano divertendosi un mondo, ma anche per i grandi che si siedono sul marciapiede e immergono i piedi mentre consumano l’aperitivo ordinato al bar di fianco o una merenda portata da casa.


Incantevole anche la piazza principale con la sontuosa cattedrale e l’antico palazzo del commercio dall’inconfondibile colore rosso scuro. Inutile dire che le foto scattate al tramonto risultano ottime, cariche di una luce meravigliosamente romantica.




Siamo quindi arrivati alla fine del nostro viaggio insieme. Il mattino dopo ci siamo messi in marcia per il rientro a casa. Partiti alle undici e un quarto siamo arrivati a destinazione esattamente sei ore dopo, con una sola lunga sosta per il pranzo.
Siamo tornati stanchi, ma stra felici, soddisfatti della vacanza, decisamente più ricchi in spirito, conoscenze e cultura, e persino speranzosi di tornarci al più presto, magari in un diverso periodo dell’anno, a Natale per esempio, quando quei posti pullulano di mercatini e diventano, se possibile, ancora più fiabeschi.
Andateci.
E regalandovi altre foto di Friburgo, concludo quest’avventura. Se volete chiarimenti o delucidazioni o consigli o anche solo fare due chiacchiere, lasciatemi un commento qui sotto o scrivetemi in privato. Vi risponderò con molto piacere :-)
Au revoir, mes amis! :-)