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mercoledì 28 febbraio 2024

Il Racconto dell’Ancella

Elettrizzata. Commossa. Soddisfatta. Sono i tre aggettivi che mi balzano in mente ora che ho appena terminato I Testamenti di Margaret Atwood. 
I Testamenti è il seguito del Racconto dell’Ancella, un romanzo distopico che tratta però temi sempre attuali, come la sottomissione della donna e la progressiva perdita di dignità dell’essere umano nei regimi totalitari. 
Ho letto Il Racconto dell’Ancella tutto d’un fiato all’inizio di quest’anno e l’ho trovato illuminante: nel suo ipotizzare un futuro tipicamente orwelliano, mostra la natura umana per quella che realmente è, senza falsi tabù o pregiudizi, e ci spinge a guardarci dentro, rendendoci dei giudici un po’ meno severi di noi stessi. È una storia forte, a tratti decisamente cruda, raccontata da un’ancella, ovvero una donna utilizzata solo a scopi di procreazione, da comandanti le cui mogli sono risultate sterili. 
Le ancelle e quasi tutte le altre donne a Gilead non hanno il permesso di leggere o scrivere, persino le insegne dei negozi non hanno scritte, ma solo disegni. Ma soprattutto ogni donna deve vestirsi ed atteggiarsi in modo da non provocare gli uomini, che notoriamente s’infiammano alla sola vista di una caviglia…
Questo non è certamente il pensiero della Atwood, che persino nei ringraziamenti finali dei Testamenti, cita il suo compagno di vita, Graeme Gibson, suo “partner in tante strane e meravigliose avventure da quasi cinquant’anni”.
La Atwood non condanna né gli uomini né le donne, ma semmai la brama di potere che spinge alcuni esseri umani a comportarsi nei modi più biechi. Non condanna nemmeno chi si trova ad essere dalla parte dei carnefici, perché tutti hanno le loro motivazioni, come ad esempio la sopravvivenza e il non riuscire più a sopportare le torture più barbare e crudeli che si possono immaginare.
Non consiglierei questi libri a dei giovani lettori, che potrebbero sentirsi disturbati dai temi trattati, ma soprattutto perché non avrebbero ancora alle spalle un vissuto tale che li induca a guardarsi dentro con la dovuta profondità. Ammetto che il secondo libro, scritto circa trentacinque anni dopo Il Racconto d’Ancella, risulta più delicato. Ciò che mi ha entusiasmato è stato l’alternarsi di ben tre testimonianze, raccontate da tre donne con tre funzioni diverse a Gilead, testimonianze che sciolgono tutti i nodi del primo libro; in particolare mi ha colpito il mio simpatizzare con una tipologia di persona che non avevo assolutamente gradito nel Racconto dell’Ancella.
Un consiglio: se avete intenzione di guardare la serie tv con Elisabeth Moss, Joseph Fiennes, Yvonne Strahovski e Alexis Bledel, fatelo solo dopo aver letto i libri, perché già dalla prima puntata si spoilerano un paio di informazioni che si evincono solo alla fine del primo libro.
Entusiasta di questi due romanzi e pronta a leggerne molti altri della stessa autrice, vi saluto, dandovi il consueto appuntamento alla nostra prossima recensione.
Au revoir, mes amis! ;-)





sabato 17 febbraio 2024

Se solo fosse vero

 In questa settimana di San Valentino ho deciso di leggere qualcosa di romantico. Così ho optato per un libro che era nella mia libreria da quasi diciassette anni…
All’epoca avevo visto al cinema il film ispirato a

questo romanzo, con Reese Whiterspoon e Mark Ruffalo nei panni dei protagonisti, e mi era piaciuto molto.
Forse proprio perché conoscevo già la trama, avevo rimandato la lettura del libro. Ma adesso sentivo che era il momento di aprirlo. Confesso che leggerlo mi ha sorpresa, anche se non del tutto in positivo. Comincio subito col dire che è un libro gradevolissimo, molto grazioso, e lo stile è scorrevole, basti pensare che, nonostante io sia una lettrice piuttosto lenta, l’ho finito in quattro giorni in cui ho lavorato ad un ritmo serrato. Ciò che non mi è piaciuto particolarmente è stato l’insistere, a mio avviso, dell’autore sull’incredibile bellezza della protagonista, Lauren, che rende difficile l’identificarsi con lei. Mi spiego meglio, conosco molti begli uomini e molte belle donne, ma non credo di aver mai incontrato una top model. Lauren invece è talmente perfetta che, quando nelle primissime pagine ha un incidente con la sua Triumph, i medici ci mettono tutto il loro impegno per rianimarla, non solo perché è una collega, ma anche perché “è troppo bella per morire”…
Anche il protagonista maschile, Arthur, mi ha lasciata perplessa: un uomo che nella sua vita ha solo avuto donne che ha amato davvero, perfino nella pre adolescenza, e che  ha delle convinzioni talmente profonde sull'amore, che farebbe vergognare qualsiasi principe azzurro di non essere alla sua altezza, e al punto da risultare quasi assurdo e decisamente poco credibile. Inoltre l’autore tenta a tutti i costi di suggerire spunti di riflessione, scrive frasi volutamente commoventi, mette in bocca ai personaggi battute o crea situazioni non così comiche, in quanto volte solo alla ricerca della risata del lettore, rasentando la banalità. 
E nonostante tutto questo, l’ho letto velocemente. Perché la trama non segue affatto quella del film, anche se il film era stato ovviamente tratto da questo romanzo. E l’idea di questa storia è sicuramente originalissima, e ci si chiede perché soltanto Arthur sia in grado di vedere il fantasma di Lauren, perché proprio lui e nessun altro, e si corre tra le pagine, curiosi di capire cosa c’è dietro tutto questo (anche un personaggio che avrà una certa rilevanza verso la fine del libro, si mostrerà curioso), si legge in fretta, in frettissima, poiché niente risulta scontato in questa storia così inverosimile, ma dolcissima, e non si può far altro che sperare in un lieto fine. Ed è proprio verso gli ultimi capitoli che ho iniziato a sentirmi più in empatia con questo libro, grazie a qualcuno che, a posteriori, confessa di non essere stato affatto così perfetto come sembrava (se poi lo leggete, ditemi se avete capito di chi parlo), e grazie soprattutto ad una frase nelle ultimissime pagine, che mi ha infuso un’infinita tenerezza perché finalmente mi sono immedesimata: infatti in un istante ho rivisto la mia storia con l’uomo che amo, e un sorriso mi si è disegnato sulle labbra prima ancora che me ne rendessi conto (… “non stava più attento al suo comportamento, gustava ogni istante di cui era tessuto il loro amore”, p. 202). Ed ora vi confesso che sono persino curiosissima di leggere il seguito, che mi affretterò ad ordinare quanto prima.
Quindi sì, un libro con qualche pecca (che magari voi nemmeno noterete), ma direi che è il libro giusto da leggere a San Valentino o perlomeno quando si è innamorati o si ha voglia di esserlo. Fatemi sapere se lo leggerete e cosa ne pensate. 
Ci vediamo alla prossima recensione :-)
Au revoir, mes amis ;-)

domenica 11 febbraio 2024

Essere figlio di Oscar Wilde

Quando chiediamo, l’Universo risponde. E così è stato anche questa volta. Dopo essere rimasta orfana del colossale American Gods di Neil Gaiman, di cui ho scritto una recensione nel post precedente, cercavo un libro totalmente diverso, che mi aiutasse a sbarazzarmi di tutto lo stress accumulato recentemente e che mi ricordasse soprattutto quanto sia giusto e doveroso ringraziare per tutta la bellezza che ci circonda.
Così al giovedì sera frugo tra i libri della mia libreria, ma nulla mi convince davvero. Al venerdì mattina incontro la mia collega - amica per il nostro solito caffè e mi chiede: “ti piacciono le biografie?”, sì, certo, è la mia risposta.

E con un gran sorriso mi porge un libro su Oscar Wilde (uno dei quattro autori su cui ho fatto la tesi di laurea, e per chi non lo sapesse, ricordo che insegno letteratura inglese al liceo): “è per te!”. Un regalo fatto così, senza alcuna ricorrenza, solo perché sa che leggere mi rilassa e che adoro Wilde. Che dolce! Mi si allarga il cuore, inizio a leggerlo subitissimo, …ed era proprio il libro che cercavo. 
Essere Figlio di Oscar Wilde - il Grande Scrittore e la sua Famiglia nel Racconto Inedito del Secondogenito Vyvyan Holland - a cura di Merlin Holland è in realtà un’autobiografia di Vyvyan, più che una biografia su Oscar, presentata con un’introduzione sentita e toccante di Merlin, figlio di Vyvyan stesso e quindi nipote di Wilde.
Vyvyan descrive la sua tragica vita senza cercare la pietà di nessuno, la presenta esattamente così come è stata, ed è proprio per questo che risulta estremamente commovente. Varie volte, leggendolo, mi sono ritrovata con le lacrime agli occhi. Da ben più di trent’anni sono una grande appassionata delle opere di Oscar Wilde e del personaggio che dev’essere stato, eccentrico ed assolutamente amabile, infatti nel 1997 avevo addirittura visto al cinema il film Wilde; eppure non avevo realizzato quanto fosse stato doloroso per lui separarsi dai suoi figli, e non avevo capito quanto soprattutto loro avessero sofferto. All’epoca mi ero soffermata sull’umiliazione provata dalla moglie e sull’ingiustizia subita da Oscar. Ma ora che ho figli capisco. Proprio ultimamente mi è capitato di ripercorrere con i miei bambini i bei momenti vissuti insieme fino ad ora, i pomeriggi al cinema, le cene nei pub, le vacanze al mare e pure i pranzi sempre insieme durante il lockdown, che ora riusciamo a fare solo nei fine settimana. Quello che rende felice la nostra vita, ciò che ci fa sentire sempre al sicuro, ciò che possiamo semplicemente chiamare “casa” è in effetti lo stare insieme, anche in momenti difficili come appunto la primavera del 2020. Ed è questo stare insieme che è stato brutalmente strappato sia ad Oscar, sia soprattutto ai suoi figli, Cyrill e Vyvyan, che avevano diritto ad un’infanzia serena, come ogni bambino, ma che invece è stata loro negata dal 1895, anno in cui Wilde è stato arrestato. Da lì non l’hanno mai più rivisto. Da lì hanno perso irrimediabilmente il loro papà, ai loro occhi bellissimo, forte, gentile, dotato di una grande empatia, un vero gigante buono, sempre entusiasta di giocare con i suoi bambini e che per questo “si metteva a quattro zampe sul pavimento della cameretta e si trasformava una volta in un leone, un’altra volta in un lupo o ancora in un cavallo, senza curarsi del suo aspetto solitamente immacolato” (Essere figlio di Oscar Wilde, p. 66). Era un uomo ed un padre meraviglioso. E i suoi figli crescevano felici, fino a quando, dal 1895, Cyrill “non sorrise mai più” (p. 75) e Vyvyan difficilmente riuscì ancora a sentirsi a casa.
È un libro che fa riflettere. Cercavo un libro che mi ricordasse quanto sia giusto e doveroso ringraziare per tutta la bellezza che ci circonda. Nell’introduzione Merlin racconta che poco prima di morire, suo padre Vyvyan, finalmente guarito dalle ferite della sua infanzia, scrisse: “Quindi, data la mia buona salute, una bella casa piena di libri, la sicurezza di un buon pasto con la mia famiglia o con i miei amici, con chi mi cambierei? Quando mi sento depresso, conto le mie benedizioni una ad una e sento di essere un uomo felice, di non avere nulla da rimproverare al destino, che a volte mi ha quasi schiacciato, ma che alla fine mi ha lasciato, per così dire spiaggiato sulle rive del tempo nella calda luce del sole” (p. 16).
Grazie, Vyvyan, che ci ricordi quant’è bella la vita.
In fondo al libro si trovano inoltre le foto della famiglia Wilde, le lettere di Oscar ai suoi amici, alcuni poemi in prosa inediti, e persino le lettere di Bosie, l’amante di Oscar, nonché causa indiretta della sua rovina.
Un’attenzione particolare va rivolta anche all’edizione di questo libro, Profilo pubblico o profilo privato? - La Lepre edizioni, molto ben curata e corredata di un segnalibro da ritagliare.
Come al solito, non posso far altro che consigliarvi di leggere questo gioiellino, così lontano dalle mode attuali, ma che da subito riesce a porsi così vicino ai cuori dei lettori.
Ora vi saluto e ci vediamo alla prossima recensione.
Au revoir, mea amis! ;-)