Quattro donne, quattro storie di vita che si intrecciano; quattro donne diverse con sogni diversi, ed altre donne ancora, in tutto il romanzo, ognuna con i suoi sogni.
C’è la donna che sogna di trovare l’amore vero, con un uomo che arrivi a conoscerla nel profondo, e questa donna non può semplicemente “accontentarsi” di un grandissimo amore; c’è quella che sogna di diventare madre ad ogni costo; c’è anche chi sta bene come sta, senza sentire l’esigenza della maternità, e vive per aiutare le altre donne a realizzare i propri sogni, offrendo loro denaro, “sicura che non l’avrebbero sprecato, perché erano piene di sogni queste donne di paese (p. 402); c’è infine chi sogna un futuro migliore per la figlia o il figlio.
L’inventario dei sogni di Chimamanda Ngozi Adichie si divide in cinque parti, ognuna dedicata ad una delle quattro protagoniste, più l’ultima in cui leggiamo ancora le riflessioni della prima di loro, ovvero Chiamaka, detta Chia.
Chiamaka è una nigeriana igbo trasferitasi negli Stati Uniti, che ha con gli uomini gli stessi problemi che abbiamo tutte, esattamente come la sua amica d’infanzia, Zikora.
Omelogor, sua cugina, è invece rimasta in Nigeria, felice di continuare a condurre lì la sua vita piena, e ha creato un blog, Per soli uomini, in cui elargisce loro consigli sui giusti comportamenti da adottare con le donne.
Infine, Kadiatou, l’unica proveniente dalla Guinea, donna e madre dolcissima, umile, meravigliosa, sarà quella in cui noi donne occidentali ci identificheremo meno, ma di cui è più che giusto conoscere la storia ed i suoi retroscena.
Mi hanno fatto tenerezza tutte e quattro, per motivi molto diversi tra loro. Zikora è forse quella che mi è stata meno simpatica, ma l’ho capita in pieno, eccome se l’ho capita, e non ho potuto fare altro che empatizzare con lei, con la sua ansia di non riuscire a trovare l’uomo giusto per diventare madre.
Chiamaka, la più tenera del gruppo, ha fiducia nella bontà di ognuno di noi ed è profondamente convinta che tutti possano andare d’amore e d’accordo. Credevo sarebbe stata lei la mia preferita, e invece, piano piano, sempre di più, si è insinuata nella mia testa la determinazione di Omelogor: mi era sembrata fin troppo esplosiva nelle prime pagine, ma mi aveva subito suscitato un istintivo moto di simpatia, che si è poi trasformato in un amore viscerale. L’ho amata così tanto che è lei il personaggio di cui mi sono segnata sul quadernino la maggior parte delle citazioni.
Kadiatou è stata un tuffo al cuore dall’inizio alla fine, fa venire voglia di proteggerla, ma nonostante tutto, ha una forza grandissima e sa cavarsela benissimo da sola.
Mi ha colpita che i capitoli di Chiamaka e Omelogor siano raccontati in prima persona, mentre quelli di Zikora e Kadiatou sono in terza, ma anche in questi la narrazione usa il punto di vista della protagonista del capitolo.
Altro particolare che mi ha colpita positivamente: è impressionante quanto l’autrice sia informata sull’attualità mondiale e sulla cronaca degli ultimi trenta, quarant’anni, e come sia interessata a (e documentata su) tutte, ma proprio tutte, le città di ogni parte del mondo. E ritengo non sarebbe male se anche noi europei ci informassimo un po’ di più sulla storia e sulla politica africana, dal loro punto di vista e non dal nostro, per imparare cose sconosciute ai più, come questa, ad esempio: “Una volta qualcuno che stava leggendo un romanzo sulla guerra del Biafra mi ha detto: - È molto interessante, ma a essere sinceri non ho ancora capito bene perché gli igbo sono stati massacrati -. Io ho risposto che la situazione degli igbo in Nigeria era simile a quella degli ebrei. La gente dice che non bisogna fidarsi degli igbo perché vogliono mettere le mani su tutto, sono attaccati ai soldi e sono troppo arrivisti.” (p.439 - 440)
Amo la letteratura nigeriana da tempo immemore, perché mi ha fatto conoscere ed amare un mondo di cui non sapevo pressoché nulla; e sebbene questo romanzo si rivolga a tutte le donne, ci svela in sordina molto anche sulla cultura nigeriana e su quella africana in generale.
Vi consiglio caldamente di soffermarvi anche sulla nota conclusiva dell’autrice in cui troverete importanti rivelazioni che forse, come me, non avrete colto del tutto.
Nomino quindi Chimamanda Ngozi Adichie membro onorario del mio personale Olimpo di scrittori preferitissimi. E prima di concludere questa recensione, voglio condividere con voi alcune delle perle che ho trovato in questo libro, che ritengo illuminanti o semplicemente rivelatrici di ciò che noi stessi pensiamo senza esserne coscienti:
- “Omelogor una volta aveva detto che era un bene che la Nigeria non fosse una meta turistica, perché le persone diventano arredi di scena, e i Paesi spettacoli, anziché luoghi.” (p. 41)
- “ Ma in quel momento non volevo che mi si chiedesse di essere forte. Volevo solo lamentarmi della mia debolezza e poi tornarci, in quella debolezza.” (p. 41)
- “Kadiatou trovò quelle informazioni un po’ eccessive, ma gli americani lo facevano sempre, di entrare in particolari che nessuno gli aveva chiesto.” (p. 252)
- “Stare da soli non significa necessariamente sentirsi soli. Talvolta mi isolo per settimane all’unico scopo di poter stare per conto mio, e mi immergo nella lettura, il grande piacere della mia vita, e penso, e mi godo il silenzio del mio meditare.” (p. 315)
-[…] penso che i sogni siano anticipazioni dell’aldilà, e che noi moriamo quando diventiamo l’io che sogna.” (p. 362)
- “ Sbarratemi una strada che non ho mai nemmeno voluto percorrere, e piangerò la possibilità che ho perduto.” (p. 363)
- “Forse non è la logica che uno cerca nella fede; forse è un aiuto.” (p. 366)
- “ Se le nostre figlie non capiscono quanto sono belle, così come sono, è evidente che abbiamo fallito.” (p. 382)
E quest’ultima citazione è carica di un significato profondissimo, su cui tutti dovremmo riflettere.
Au revoir, mes amis! ;-)
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