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sabato 10 maggio 2025

I libri di Kerry: The Buried Giant di Kazuo Ishiguro

Una storia toccante, una riflessione sul senso della memoria (che tanto mi richiama Doris Lessing) e sui ricordi, un romanzo delicato incentrato sui sentimenti e sulle tortuosità dell’animo umano, sapientemente mascherato da fantasy.
Il Gigante Sepolto, o in lingua originale, The Buried Giant, tocca i cuori nel profondo, come Ishiguro sa magistralmente fare. La storia è quella di Axl e Beatrice, una coppia di anziani coniugi, che vivono in una Bretagna in cui è da poco morto Re Artù e subito prima della definitiva conquista da parte dei Sassoni. Chiunque viva a quel tempo in quei luoghi, dimentica. Le persone dimenticano grandi fatti della storia così come vicende personali; ma a tratti ricordano frammenti della loro vita. 
Ed ecco che Axl e la sua amatissima “principessa” Beatrice realizzeranno ad un certo punto di avere un figlio, che vive e li aspetta con ansia in un villaggio non troppo distante dal loro. Decidono quindi di intraprendere un viaggio alla volta del figlio dimenticato, durante il quale incontreranno alti traghettatori, vedove arrabbiate, goffi orchi, fieri combattenti, valorosi cavalieri della Tavola Rotonda, e temibili dragonesse.
Il racconto parte lento, sia per il finto stile di scrittura medievale, sia perché la nebbia che tutto avvolge e tutto cancella, sembra ottenebrare anche l’occhio della mente 
del lettore. Ma mentre viaggiamo sottobraccio con i protagonisti della storia, la curiosità si fa sempre più viva e desiderosa di scoprire cosa si celi dietro questa foschia, e personalmente il mio ritmo di lettura è diventato mano a mano più serrato, al punto che mi risultava doloroso interrompere, o peggio ancora, separarmi dal romanzo.
Come sempre Ishiguro ha una scrittura delicatissima. Come sempre amo profondamente ciò che scrive.
Come sempre mi lancia spunti di riflessione sulla mia quotidianità.
E questa volta, più di altre, ho amato tutti i suoi personaggi, uno ad uno, quelli buoni, quelli apparentemente cattivi, quelli neutri, quelli marginali: tutti hanno una grandezza interiore maestosa, che riecheggia nella nostra memoria molto dopo che si è finito di leggere il libro, a dispetto dell’amnesia collettiva che invade i villaggi bretoni e sassoni.
Ed è su questo punto che l’autore si chiede, e ci chiede, se sia giusto dimenticare o se sia meglio ricordare. Fino a che punto può considerarsi corretto e sano dimenticare, perdonare ed andare avanti, senza che diventi una scusa per commettere i crimini più efferati o infliggere sofferenze atroci a chi ci circonda, chiudendo poi semplicemente gli occhi e nascondendo alla vista gli errori nostri ed altrui? Perché le relazioni interpersonali sono spesso difficili, anche quando amiamo profondamente, e la convivenza tra diversi popoli è altrettanto ardua.
Ho capito perfettamente lo stato d’animo di Axl che, a fronte della speranza della moglie di recuperare la memoria (ricordando perciò i momenti felici e quelli dolorosi della loro vita insieme), domanda alla sua principessa: “ Promise me this at least. Promise, princess, you will not forget what you feel in your heart for me at this moment”. (Promettimi almeno questo. Prometti, principessa, che non dimenticherai ciò che senti nel tuo cuore per me in questo momento).
Ma il discorso si fa ancora più complesso nel momento in cui si passa dall’individuale al collettivo, per cui il dilemma si pone tra il continuare a ricordare le atrocità subite che rende più arduo l’atto del perdonare, ed il dimenticare, riuscendo così ad andare avanti in modo più pacifico: quale delle due è davvero la mossa giusta?
“Some of you will have fine monuments by which the living may remember the evil done to you.” (Alcuni di voi avranno bei monumenti con i quali i vivi potranno ricordare il male che vi è stato fatto).
Ricordare, dimenticare, perdonare consapevolmente…
Ai posteri, ed a voi lettori, l’ardua sentenza.
Au revoir, mes amis! ;-)








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