“Se vuoi leggere autori orientali, allora inizia da Murakami”; “Murakami ti piacerebbe sicuramente”; “Ah, Murakami, che bello…”: questi i commenti che mi sono stati fatti più volte. E dopo anni, ho deciso che finalmente anche per me era arrivato il momento Murakami. In effetti il suo stile mi è piaciuto molto e mi ha tenuta incollata fino alla fine. La storia di Kafka sulla Spiaggia è avvincente; il flusso di coscienza con cui l’autore esprime i pensieri del protagonista è un vortice affascinante da cui non si riesce a venire fuori; i dialoghi suonano reali e familiari. Il tutto ha il sapore del romanzo di formazione, il cosiddetto Bildungsroman, in cui il protagonista deve affrontare alcune prove per evolversi e maturare. E ammettiamolo, il realismo magico funziona perché accontenta un po’ tutti, sia chi nei libri ricerca sentimenti veri e situazioni realistiche, sia chi ama il fantasy ed il soprannaturale.
Ma c’è un “ma”. Gli insegnamenti filosofici e le massime New Age di ricerca dell’io ed introspezione del sé sono letture che sempre ci aiutano a vivere meglio, per quanto trite e ritrite, e d’altro canto “repetita iuvant”. Ma in questa moltitudine di pagine e capitoli ci sono piccoli particolari e grandi tematiche che potrebbero urtare la sensibilità di molti lettori. Personalmente ho ritenuto che alcune scene ed alcuni temi forti fossero funzionali alla narrazione, altri decisamente meno e li ho trovati superflui e morbosi. Non mi sentirei di consigliare una tale lettura ad un pubblico adolescente, nonostante la storia s’incentri proprio sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta e cominci la notte in cui Tamura Kafka compie quindici anni.
Il protagonista non ha catturato la mia simpatia, ma nemmeno la mia antipatia; a lui ho decisamente preferito l’accoppiata Nakata - Hoshino (soprattutto Hoshino!).
Ho però gradito l’insistenza sul tempo che non scorre, la ricerca di un posto al di fuori del tempo, la pazienza che in modo naturalissimo si ha quando non ci si accorge dello scorrere del tempo. Mi sono trovata più volte a chiedermi se la non-percezione del tempo e la conseguente assenza di ricordi siano per me davvero auspicabili oppure no. E quando un libro mi invita così incessantemente a riflettere e a pormi delle domande, non può che restarmi nel cuore, a discapito di tutto ciò che non mi ha convinta.
Di certo non si può restare indifferenti di fronte all’immensa cultura dell’autore, di cui troviamo esempi ad ogni pagina, senza mai scadere nella pedanteria, e che spazia dalla letteratura giapponese a quella europea, dalla mitologia greca a nozioni sulle civiltà aborigene australiane, dalla musica classica al cinema francese d’essai, dalla filosofia illuminista a quella modernista.
Mi fionderò immediatamente a comprare e a leggere altri romanzi di Murakami Haruki?
No, non subito. Non mi sento ancora pronta.
Ma tornerà il suo momento. Non posso fermarmi al primo. Perché sento che ha ancora qualcosa da insegnarmi, e soprattutto, ha molto da ricordarmi: come vi dicevo, “repetita iuvant”, e le massime New Age, per quanto trite e ritrite, ci aiutano a vivere meglio.
Au revoir, mes amis! ;-)