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sabato 15 marzo 2025

L’altra Grace di Margaret Atwood

Con L’altra Grace Margaret Atwood si conferma, ancora una volta, una narratrice eccezionale, capace di penetrare l’animo umano e mostrarcelo esattamente così com’è, attraverso ciò che sembra un vero e proprio flusso di coscienza, sebbene decisamente più scorrevole e comprensibile delle tecniche di stream of consciousness usate da James Joyce e Virginia Woolf  
(e per mia opinione personalissima, assolutamente più godibile). 
Se, come me, avete già letto Il Racconto dell’Ancella ed il suo seguito I Testamenti, saprete quanto è caro alla Signora Atwood il tema della donna rinchiusa, segregata in una prigione tanto fisica quanto psicologica, a cui però non soccombe. 
Grace Marks, presunta omicida di soli sedici anni, nella prima metà dell’Ottocento fu condannata alla pena di morte, commutata poi in ergastolo, data la sua giovane età e grazie alle numerose petizioni in suo favore (molte persone dell’epoca erano infatti convinte della sua innocenza). Scontò parte della pena in manicomio, in quanto fu ritenuta mentalmente instabile da alcuni dottori che si occuparono del suo caso. Nel libro si racconta proprio di Grace, benché gli eventi storici siano chiaramente romanzati, come ammette la stessa Atwood nella nota in appendice. Nei ringraziamenti finali comunque si nota che l’autrice ha consultato numerosissime fonti per scrivere un racconto il più verosimile possibile. 
Grace è una ragazza di straordinaria bellezza, dotata di un’intelligenza acuta, di senso pratico e di una rara vivacità intellettuale (cosa notevole, tenendo soprattutto conto del fatto che è una cameriera); ma i suoi modi umili e sempre composti la rendono molto più affascinante delle classiche eroine letterarie. Leggendo queste pagine, Grace ci appare a dir poco adorabile.
Durante la narrazione faremo la conoscenza di svariati personaggi, tutti interessanti e molto ben delineati nei loro tratti caratteriali, tra cui spicca il Dottor Simon Jordan, che proverà ad analizzare la psiche della nostra beniamina. Ma nessuno di loro riuscirà a far presa sui nostri cuori come, appunto, Grace Marks, la cui innocenza e purezza di fondo la rendono la regina indiscussa dell’intera vicenda.
Il titolo originale, Alias Grace, rende molto di più l’idea, a mio avviso, di ciò che questa storia si propone di essere, rispetto alla traduzione italiana; Grace, quando scappa verso gli Stati Uniti subito dopo il duplice omicidio del Signor Kinnear e della sua giovane governante Nancy Montgomery, darà in effetti un “alias”, una falsa identità nell’albergo in cui trascorrerà la notte, prendendo a prestito il nome della sua carissima amica Mary Whitney. Ma l’alias rappresenta anche un doppio, così come tanti se ne trovano nella letteratura europea dal diciannovesimo secolo in poi (da The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde a The Picture of Dorian Gray, per citare i più comuni). Per tutta la narrazione si cerca di far chiarezza sull’accaduto: sarà stata davvero Grace a commettere il delitto, avrà istigato davvero lei l’altro omicida, James McDermott, oppure c’è di mezzo qualcos’altro (o qualcun altro) che non sappiamo riconoscere? Leggetelo e sarete voi a formarvi la vostra opinione in proposito.
Ma prima di salutarvi, vorrei condividere con voi, come spesso faccio, alcune meravigliose citazioni da questo capolavoro, che mi fanno amare Margaret Atwood sempre più:
- “ Una storia, quando ci sei nel mezzo non è una storia, è solo confusione; un fragore indistinto, un andare alla cieca, tra vetri rotti e schegge di legno; è come una casa che vortica in una tromba d’aria, una nave che si schianta contro gli iceberg o precipita giù per le rapide, e nessuno a bordo può fermarla. È soltanto dopo che diventa una storia, prende una forma. È quando la racconti, a te stessa o a qualcun altro.” (p.358-359).
- “ Ai giornalisti piace dare per scontato il peggio; così vendono più giornali, me l’ha detto uno di loro; perché anche alla gente rispettabile e perbene piace moltissimo leggere gli orrori commessi da altri.” (p.428).
- “ La prigione non si limita a chiudere dentro i carcerati, chiude anche fuori tutti gli altri.” (p.437).
Sicura che queste parole vi abbiano incuriosito e fatto riflettere, vi saluto e ci rivediamo alla prossima recensione.
Au revoir, mes amis! ;-)












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