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lunedì 27 gennaio 2025

L’uomo nell’Alto Castello

Appena terminato L’Uomo nell’Alto Castello, il cui titolo un tempo veniva tradotto come La Svastica sul Sole. Sconvolgente. Perché sconvolta, quasi trafelata, sono arrivata al finale di questo impressionante romanzo ucronico.

E casualmente l’ho finito proprio oggi, nel Giorno della Memoria: nessun’altra data sarebbe apparsa più azzeccata.
Ma prima di tutto, per chi non è avvezzo a questo tipo di letteratura, facciamo un passo indietro e spieghiamo che cosa si intende per “ucronico”.
 A differenza dell’utopia (realtà alternativa, considerata quasi impossibile per la sua meravigliosa perfezione) e della distopia (possibile realtà, contrapposta all’utopia e assolutamente non auspicabile), l’ucronia prende spunto da fatti storici reali per poi chiedersi: “ma cosa sarebbe successo se invece…”. E in questo strabiliante capolavoro, Dick prova ad immaginare cosa sarebbe (forse) accaduto se la Seconda Guerra Mondiale fosse stata vinta dall’Asse. È davvero impressionante la cura e la meticolosità con cui l’autore è riuscito a descrivere questo scenario alternativo. Ma d’altra parte, come ci spiega Emmanuel Carrère nell’introduzione all’edizione Mondadori, e come l’autore stesso ammette nei ringraziamenti iniziali, Philip K.Dick si era documentato molto per la stesura di questo romanzo; non solo: risulta abbastanza evidente anche il fatto che si fosse consultato con l’I Ching.
Ecco quindi che, grazie anche all’oracolo, protagonista indiscusso dell’intera vicenda, prendono vita esperti artigiani ebrei che si spacciano per americani; alti funzionari giapponesi che non condividono le spietate ideologie anti-semite ed i genocidi in genere; ufficiali nazisti che leggono libri proibiti; piccoli e gretti proprietari di negozi di antiquariato che non tollerano la supremazia di altre “razze” a discapito dei cosiddetti bianchi; ebrei che si fingono ariani per avere dalla propria parte le più alte gerarchie naziste; bellissime, affascinanti, estremamente intelligenti e determinate donne brune che incontrano uomini italiani un po’ troppo su di giri, e non in senso positivo.
E poi c’è La Locusta si trascinerà a stento, il libro proibito di cui sopra, il cui autore ipotizza un universo parallelo dove l’Asse ha perso la guerra…
Un intreccio di vite che ci conduce ad un finale inaspettato, impossibile da immaginare anche solo lontanamente. Dick era un genio, un indiscusso genio sensibile e provato dalle brutture di una guerra atroce, preceduta da fascismi persino più atroci della stessa guerra.
Superfluo dirvi che vi consiglio caldamente di buttarvi quanto prima in questa incredibile, sconcertante esperienza di lettura.
Au revoir, mes amis! ;-)

domenica 19 gennaio 2025

Il Senso della Memoria di Doris Lessing

“Questa raccolta, completamente inedita, è composta da due saggi e un racconto assemblati in accordo con l’autrice e accomunati dei medesimi temi: la memoria, l’importanza delle storie, la funzione educativa della letteratura.”
Così si legge nell’avvertenza che ci introduce a questo volume, composto da due saggi, Scrivere un’autobiografia e Problemi, miti e storie, e da un racconto breve, Ecco perché.
Il filo conduttore è appunto l’importanza della memoria, che abbiamo iniziato a perdere non soltanto con l’avvento e l’invadenza della tecnologia nelle nostre vite (troppo facile a dirsi); anzi, il premio Nobel Doris Lessing ci fa notare, inaspettatamente, che anche la scrittura ha contribuito a questa progressiva perdita della memoria, perché non dobbiamo più sforzarci di ricordare gli insegnamenti dei vecchi, quella conoscenza che passava di bocca in bocca dai nostri antenati a noi, ed arricchita, ad ogni racconto, di nuovi particolari. 
Ma anche la scrittura ha chiaramente la sua importanza, fondamentale per evitare che questi preziosi insegnamenti si perdano per sempre, quando, appunto, nessuno si premura più di tramandarli oralmente. D’altra parte, nemmeno la scrittura, che risulta fissa ad una prima, superficiale occhiata, lo è davvero: se rileggiamo un libro dopo un po’ di tempo, potrebbe sembrarci parecchio diverso; questo perché noi cambiamo, e percepiamo le cose in maniera differente. Tale concetto risulta di più facile comprensione, a detta di Doris Lessing, se ci avventuriamo nei racconti sufi rispolverati da Idries Shah. E la devo ringraziare per avermi suscitato la curiosità di andare a scoprirli. 
Questo il senso globale di questa mini raccolta. Ma in Ecco perché c’è qualcosa di più: è la storia dell’evoluzione di una società dai suoi albori ai suoi splendori e che piano piano va alla deriva per incapacità governativa; ed è subito evidente che un malgoverno pervade, e purtroppo distrugge, ogni aspetto della nostra vita, perché nemmeno i nostri figli recepiscono o ricordano i nostri insegnamenti se vivono in una civiltà che si sfascia, e che di civile sembra avere ormai ben poco. Impossibile non fare un parallelismo con la storia dell’umanità, dalla preistoria ai giorni nostri.
E di sicuro la conclusione di questa lettura mi ha trovata cambiata, proprio come accade con i racconti sufi.
Rileggerò quest’opera fra anni, e vedremo quali nuove conclusioni ne trarrò.
Au revoir, mes amis! ;-)



venerdì 10 gennaio 2025

Follia di Patrick McGrath

Una famiglia, i Raphaels: lui uno stimato psichiatra determinato a far carriera; lei semplicemente sua moglie, una donna avvenente, colta, spiritosa, che giustamente non si accontenta di vivere all’ombra di un marito freddo ed insipido; e poi c’è Charlie, che fa la sua comparsa quasi in sordina, ma che fin da subito ci fa preoccupare, perché è un bambino, ed è normale preoccuparsi per i bambini e voler fare loro una carezza.
Chi narra gli avvenimenti di questa strana storia è Peter Cleave, anche lui psichiatra, e lo fa con una pacatezza sovrumana, che mi ha fatto venire voglia di incontrarlo nella realtà. Peccato che sia solo un personaggio di fantasia.
È una lettura travolgente, che ci tiene incollati fino all’ultima pagina. Non si può odiare nessuno dei personaggi, si finisce per empatizzare con tutti, chi più, chi meno. E ci mostra che il seme della follia è insito in ognuno di noi, chi più, chi meno. A volte nasciamo pazzi, a volte lo diventiamo, a volte ci fanno diventare tali. Ha importanza? Un pazzo è prima di tutto un malato, e ha quindi bisogno di cure, un disperato bisogno di cure. E non andrebbe mai abbandonato a se stesso, anche quando rifiuta l’aiuto esterno. Un malato mentale privo di cure può diventare pericoloso, per sé e per la comunità. Perché il mondo idealizzato in cui vive può crollare da un momento all’altro, portandosi rovinosamente dietro tutto ciò che ha intorno. E i giudizi facili non servono a nessuno. Non ce l’ho fatta a giudicare Stella Raphael, che non si è mai sentita capita da nessuno. E nemmeno suo marito Max, che risulta facilmente odiosetto, ma che ho ammirato per il suo invidiabile autocontrollo. E non sono riuscita a giudicare il paziente dell’ospedale psichiatrico, Edgar Stark. E mi sono affezionata sempre più al personaggio secondario, Charlie, ed ho sorriso così tanto per il suo genuino, infantile entusiasmo che spesso nemmeno i bambini della sua età riescono ad avere.
Un romanzo scritto benissimo da un autore che scandaglia l’animo umano in profondità, con una bravura eccezionale. 
Si esce da una lettura del genere un po’ più consapevoli di se stessi, ma anche un pochino stanchi, al punto che chiuso il libro, ci sembra quasi di zoppicare. 
Spossati, forse svuotati, ma con la voglia di fare una carezza a chi ci sta vicino, e con la promessa di non lasciarli mai soli.
Consigliato? Sì, decisamente. Ma leggetelo in un momento di assoluta serenità. 
Personalmente, credo che mi procurerò a breve altri romanzi dello stesso autore.
Au revoir, mes amis! ;-)



sabato 4 gennaio 2025

Un Canto di Natale di Charles Dickens

“E così, come osservò Tiny Tim, che Dio ci benedica, tutti!”
Leggere Un Canto di Natale è davvero rinfrancante.
Confesso, con una punta di vergogna, che lo avevo sempre snobbato perché “tanto la sua storia la conosciamo tutti”: ero infatti alle elementari, quando avevo visto il film Disney con Paperon Scrooge e Topolino; lo avevo persino letto sul settimanale a fumetti, Topolino appunto, e ne avevo viste svariate versioni in una marea di film e telefilm, da SOS Fantasmi con Bill Murray, alla puntata natalizia de I Simpson. Quindi sì, la storia la sapevo a memoria, e non mi veniva nessuna voglia di leggerla.
Così come non avevo mai letto nessun libro di Dickens per, piu o meno, lo stesso motivo; d’altra parte, chi di voi non conosce, almeno sommariamente, le vicende di Oliver Twist o David Copperfield?
Eppure ogni volta che lo spiegavo in classe, non riuscivo a farlo senza entusiasmo. Ed ogni volta mi trovavo a leggere ai miei alunni, quasi recitandolo, con estrema enfasi (rigorosamente in inglese, ovviamente), il famosissimo stralcio tratto da Oliver Twist, di solito intitolato Please, Sir, I want some more. Perché non si può non restare incantati dalle abilità descrittive di questo eccezionale autore del Vittorianesimo e dalla potenza evocativa di ogni sua frase, dalla precisione dettagliata della sua narrazione, senza però diventare mai pesante, ma anzi talmente immediata da farci visualizzare ogni scena come l’avessimo effettivamente davanti agli occhi.
E quest’anno mi sono ritrovata Un Canto di Natale in casa, e non ho resistito alla tentazione di leggerlo, sebbene in italiano (ma complimenti al curatore G.T. Asfalti, che ha saputo mantenere nella traduzione la verve dickensiana e che ha corredato il tutto di molte note efficaci ed esaurienti per chi non è avvezzo alla cultura dell’era vittoriana).
Ed eccomi qui, a leggere questo libro che non avrebbe dovuto stupirmi per la sua storia che ormai conoscevo a menadito, e da cui invece non riuscivo a staccarmi, per la sua narrazione coinvolgente, perché i suoi insegnamenti profondi arrivano a toccare gli animi, soprattutto in un periodo come quello natalizio, o forse perché più andiamo avanti, più abbiamo bisogno di circondarci di cose belle e semplici, e perché non ci si stanca mai di sentirsi ripetere i buoni propositi per una vita più sentita e piena d’amore. A discapito della signora che, proprio in questi giorni, mi ha confessato di averlo trovato una lettura pesante. Forse per lei non era ancora arrivato il momento giusto per leggerlo. Ma l’insegnamento ultimo di questo splendido romanzo è proprio che non tutti i gusti sono alla menta, e l’importante è ridere di cuore, nel nostro cuore, e gioire ogni giorno come fosse Natale.
“Vivrò nel Passato, nel Presente e nel Futuro. Gli Spiriti di tutti e Tre si animeranno dentro di me”.
E buon Natale a tutti, adesso e per tutto l’anno.