Non sarà facile scegliere le parole giuste per scrivere questo articolo. Gabriele Romagnoli, invece, come sempre sa ponderare ogni parola con garbata compostezza; dice liberamente ciò che pensa, ma non eccede, non si anima. Eppure la vicenda di cui tratta qui, è purtroppo vera, e riguarda un suo carissimo amico di gioventù. Arrestato e condannato all’ergastolo, sulla base di diciotto indizi, non convalidati, però, da alcuna prova effettiva.
“Può un processo indiziario eliminare il ragionevole dubbio? Può una serie di circostanze supplire all’assenza di una prova regina […]?”
Ponendosi e ponendoci questa domanda, l’autore ci conduce inizialmente attraverso una carrellata di ricordi che vedono come protagonisti i fratelli Stefano e Andrea Rossi, che lui chiama, senza alcuna volontà di scherno,“oi aristoi”, “i Kennedy “, “i bronzi di Riace”. Dopo questo preambolo in cui descrive le affascinanti stranezze di questa famiglia dal rigore impeccabile, ci addentriamo insieme a lui nel vivo di un processo penale, il cui unico imputato è proprio Andrea Rossi.
Bellissimo, di una freddezza glaciale, che con i suoi due metri di altezza torreggia su chiunque gli stia intorno, in continuo sfoggio di un linguaggio altamente forbito, non perde i suoi modi gentili nemmeno durante un processo non equo. È l’autore stesso che lo definisce tale, arrivando persino a scrivere: “Adesso bestemmierò: neppure un assassino merita una giustizia simile.” Parole dure, amare, ma comprensibili. Gabriele Romagnoli non si proclama innocentista o colpevolista; non è questo il punto. Fa semplicemente appello ad una giustizia giusta, che non incorra nell’errore giudiziario. Perché “una condanna deve essere giusta anche nella misura. Una certezza deve basarsi su dati incontrovertibili.”
Non posso che dolermi per le persone che hanno voluto bene a Vitalina Balani in Fabbiani, vittima di omicidio.
Il mio pensiero va anche agli amici di Andrea (tra cui Gabriele stesso), che non avranno mai più occasione di rivederlo; va ai suoi sei figli, che non potranno più riabbracciarlo. E soprattutto il mio pensiero va a colui che sta scontando una pena tanto rara quanto atroce: Andrea Rossi.
Inutile dirvi che la lacrima mi è scesa durante questa lettura, e più volte. Ma Andrea meritava che la sua storia venisse raccontata, e ancora merita che venga letta. Almeno questo. Anche se non potremo (forse) mai avere la certezza di una verità assoluta.
Au revoir, mes amis.
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